
Giovanni Mancuso e Andrea Rebaudengo in un interessante excursus del percorso creativo del musicista bresciano
C’è tutto il mondo creativo di Rossano Pinelli nel pregevole disco - il primo monografico, dopo diverse partecipazioni a progetti corali – firmato dall’etichetta Stradivarius. L’amore per la vertiginosa polifonia dei patriarchi Leoninus e Perotinus, il gusto verso l’esplorazione di timbri e ritmi, da combinare e scombinare ad arte, alla ricerca di effetti capaci di cristallizzare l’istante in frammenti sonori. Ma anche lo sguardo verso culture lontane, spesso criptiche per i nostri canoni, a cui rubare schegge ispirative da incastonare, non come posticci tasselli esotici ma come elementi filtrati e assimilati, in un affresco unitario, composito e vibrante.
Nôtre-Dame de le Babenzele è titolo che, nel suo annunciarsi, è già sintesi e rivelazione di una dichiarata presa di posizione da parte del compositore bresciano, formatosi dapprima alle scuole di Giancarlo Facchinetti e Antonio Giacometti e poi seguendo gli insegnamenti di astri assoluti come Ligeti e Donatoni, ma contemporaneamente attratto dai richiami di linguaggi “altri”, dalla musica etnica dell’area balcanica a quella dei Pigmei, dal jazz al rock progressive. Difficile, quindi, individuare un cassetto in cui collocare queste dieci tracce interamente dedicate al pianoforte, disposte con due larghe campate che abbracciano, al loro interno, otto deliziosi frammenti. Meglio abbandonarsi al loro ascolto, affidato alle sapienti cure di due musicisti di razza quali Giovanni Mancuso e Andrea Rebaudengo, esaltanti nella devota, puntuale adesione al segno dell’autore che, sotto le loro dita, si fa pensiero, limpida sentenza ma, soprattutto, avvincente evocazione.
Sarà il susseguirsi mutevole e multiforme delle anime racchiuse in questa costellazione a rivelare, ben oltre il piacere estetico racchiuso in quelle schegge di pochi minuti, il bisogno di andare più a fondo, alla ricerca dell’altrettanto affascinante complessità che le abita e le sottende. A partire dall’omaggio al genio narrativo di Hašek che, con Švejk Studio, trittico con cui si apre l’itinerario, cattura l’anima buona e sprovveduta del soldato in una fitta rete armonica fatta di tetracordi e di accordi speculari, mentre il flusso narrativo si muove inquieto tra poliritmie e polimetrie. Una farfalla in una teca di resina, con l’inesorabile macchina della guerra nel suo eterno movimento uguale a sé stesso e, tra i suoi ingranaggi, i vani sforzi dell’individuo di sottrarvisi. Dall’altro capo, ad attendere l’ascoltatore è il pezzo eponimo. Un affresco di vibrante potenza espressiva, steso a larghe macchie sonore sotto la cui superficie abitano, pulviscolari, mondi segreti, trascolorazioni, sussulti percettibili solo dopo vari ascolti. Ma soprattutto, sotto quella poderosa corazza, a palpitare sono i tiranti del pezzo, le corde che ne legano la muscolare esteriorità ai mondi di Brahms e di Ligeti, della grande tradizione europea, che Pinelli, con una sintesi personalissima, coniuga a voci disparate ed eterodosse come, appunto, quella dei Pigmei Aka, noti anche come Babenzele, custodi di una complessità e di una ricchezza musicale di stupefacente bellezza.
Tra queste colonne d’Ercole si insinuano pagine minori per estensione e respiro, ma non certo per miniaturistico cesello. Tra queste, Waves, gioco di onde e di rifrazioni sonore viste nel loro inesausto moto di avvicinamento alla riva, l’urticante Zenit, omaggio – con le sue 840 ripetizioni della stessa cellula di 4 note variamente combinata nelle soluzioni ritmiche – ai 150 anni dalla nascita di Erik Satie, lo scarnificato, corrosivo Tango per pianoforte a quattro mani culminante con un autentico colpo di scena (quasi l’immagine sonora di un casqué). E ancora, A – con l’implicito invito all’ascoltatore a farsi parte attiva del dialogo avviato dal pianoforte -, Colours, autentica scena volteggiante in cui il dato cromatico si fa presenza fisica, materiale, narrativa, e in cui il gusto per il dettaglio minimale, il lavoro di fine artigianato – cifra, questa, tra le più identitarie del compositore bresciano – trova uno dei suoi esiti più compiuti.
Rossano Pinelli
Nôtre-Dame de le Babenzele
Giovanni Mancuso e Andrea Rebaudengo
Stradivarius