Recensioni - Cultura e musica

In Disco: la settima sonata di Carlo Alessandro Landini

L'opera, raccolta ed intimista, nella pregevole esecuzione di Massimiliano Damerini

Ogni pagina firmata da Carlo Alessandro Landini porta in sé la consistenza poetica e artistica di uno scavo profondo, un abisso che solo un certosino labor limæ alleggerisce fino a farne un filato nobile, lieve nel suo affiorare dallo strumento. Il tempo, lo spazio. Ma anche il cosa e, non ultimo, il come. Ogni volta, a perpetuarsi è un confronto serrato, totalizzante, con l’essenza stessa dell’atto creativo. L’io e il non io, l’altro, il noi. Ciò che siamo e ciò che eravamo. Il passato e il presente, il passato nel presente. Sembrano disquisizioni oziose, ma basta accostarsi alla sua Sonata n°7, quasi un’ora di musica magnificamente intenzionale, dolorosamente raccolta, per comprendere, una volta di più, come l’ennesimo cimento tra una delle voci più singolari del nostro tempo e la forma per eccellenza possa rappresentare, ancora oggi, un territorio non del tutto esplorato. Un ascolto che sembra dilatarsi da subito, dall’incipit, verso orizzonti in cui è l’avventurosa, intrinseca, spinta di un tessuto teso con spiccata sapienza a dettare il passo. Un passo in cui autore, interprete ed esecutore sembrano porsi, seppur su piani differenti, nella medesima condizione di stupefatti attori e spettatori di fronte al farsi e al disfarsi della materia, del canto, della narrazione. Bene parla, nel suo illuminante saggio introduttivo all’ascolto, Luca Ciammarughi quando allude all’immagine della marea, dell’incessante flusso – flusso di lacerti sonori, ma anche di memoria, di desiderio, di anelito – che accompagna lo srotolarsi del filo. In un inarrestabile scorrere delle cose, l’aristocratica sostanza di questo ennesimo monumento landiniano sgorga come sempre da nuclei minimali, da schegge che progressivamente si gonfiano fino a veicolare in sé, attorno a sé, molto altro. Un gioco polifonico, ritmico, emotivo il cui nitore cela, nei suoi segreti tiranti, una complessità quasi inafferrabile. Affondata là dove il suono è ancora pensiero germinale, intenzione, desiderio, appunto. La traduzione pianistica di Massimiliano Damerini è ancora una volta ammirevole per coraggio, puntualità, intima adesione, plasticità. Dopo la colossale Quinta, l’approdo a questa Settima Sonata appare un ripiegamento intimista. E non solo per l’ora scarsa del suo arco narrativo, contro le abbondanti tre della consorella, ma anche per le atmosfere vaporose e insieme vagamente sepolcrali che la percorrono. Non una rinuncia. Piuttosto, la volontà di scendere, senza compromessi, in acque ancor più profonde.