Una raffinata ricerca di brani pianistici legati dal sottile filo rosso della danza
Basterebbe accostarsi a questo lavoro discografico per capire, anche per chi ne incontrasse per la prima volta il nome, il profilo e la statura di Emanuele Torquati. Un lavoro che profuma di sinestesie, che inanella assonanze e rimandi, che occhieggia alla Musica nella sua dimensione più totalizzante, panica. Come non pensare, quindi a Matisse e a quel girotondo di sagome nude, libere, dominate da una primigenia pulsione vitale, o al Valéry che con il suo pennino infallibile definisce la Vita come una donna danzante? E con loro, a mille altri rivoli di una concezione che esce dalla musica in senso stretto, rompe gli argini e sconfina in un sentire ben più lato. Danza, dunque, come battito, oscillazione, guizzo, pulsione, soffio dionisiaco. Danza, soprattutto, del pensiero, di una coreografia interiore, sismografo dell’anima, mercurio del cuore, dei suoi pieni e vuoti, dei suoi silenzi così come delle sue esplosioni. Danza come investigazione dell’universo. Di questo affascinante topos - tanto suggestivo nell’idea quanto facile a smarrirvi senso e mira facendone una banale accozzaglia di pagine accostate per automatismo – Torquati, che certo non teme simili sirene, ne esplora le risonanze, le voci interne, le interconnessioni che aprono ad orizzonti legati da fili sottili, il più delle volte segreti.
C’è dunque una forza tellurica, una corrente sotterranea che attraversa questo magnifico “L’Anima e la Danza”, il cui titolo, se non dice, certo allude ad un mondo di energie carsiche che l’ascolto dipana traccia dopo traccia, in un dedalo di luoghi e di epoche, di linguaggi e di temperamenti. La solennità anticata della Pavane pour une infante défunte di Ravel, la sua insostenibile melanconia color seppia, l’eleganza lontana delle sue movenze in controluce; la perlacea astrazione dei tre Studi di Gérard Pesson, la loro scomposizione del suono come rifrazioni di luce baluginanti in una nebbia lattiginosa. Il composto, pudico oscillare delle acque su cui si adagia la Berceuse di Chopin, il suo canto a labbra socchiuse che si polverizza in un mormorio sempre più evanescente. e, speculare ad essa, la Berceuse di Francesco Filidei, la sua colata lavica ridotta ad esile filamento compatto, tagliente, cristallizzato. Un relitto. E così via, fino all’apoteosi raveliana delle Valses nobles et sentimentales: danze come maschere ed enigmi, sogni ed incubi, sfingi di un mondo che ricalca l’antico ma che non resiste a farne, con la più elegante delle scritture, una caricatura che lo confina a minumento funebre di se stesso.
Con la discrezione che ne ha sempre caratterizzato il passo, prestando la solidità dei suoi mezzi di dita e di pensiero a questo progetto avventuroso, Torquati rammenda un percorso che è, innanzitutto, di conoscenza. E, più che suonare, si accosta al pianoforte come ad una conchiglia, alla ricerca dell’eco del mare, il respiro del mondo. Ecco. Un pianista che ha il pregio di farsi e di suggerire domande, più che affermazioni. Una visione della musica come viaggio esperienziale, labirintico, instancabilmente dinamico. In levare. Danzante, appunto.
L’anima e la danza
Emanuele Torquati
Stradivarius 2021