Recensioni - Cultura e musica

Intervista a Mattia Zappa e Massimiliano Mainolfi

Una conversazione con i due musicisti in occasione della pubblicazione del loro ultimo CD con le Sonate per violoncello e pianoforte di Johannes Brahms

Tra ossequio ed innovazione, inappuntabile scrupolo e dichiarata audacia, come una seconda pelle, il viaggio a ritroso in questo Brahms per violoncello e pianoforte- dalla zampillante op. 99 alla più oscura op. 38, scritta oltre vent’anni prima – è in realtà soprattutto un percorso à rebours per gli interpreti, alla radice primigenia del loro camerismo. Un itinerario insieme artistico ed affettivo, che in una lettura limpida ed avvincente Mattia Zappa e Massimiliano Mainolfi affrontano con la sorvegliata saggezza di chi sa temperare le passioni alla luce di uno sguardo capace di abbracciare senza smarrirvisi, la multiforme sostanza di questi mondi in cui impeto e lirismo, imperiosa fierezza e tenerissima confessione. Due interpreti, un racconto.
Li abbiamo raggiunti per una chiacchierata utile a conoscere meglio il loro approccio intellettuale ed emotivo alla pagina.

1. Partiamo dall’inizio, dalle origini della vostra formazione. Ricordate precisamente quando avete avuto la percezione di poter far confluire le vostre rispettive individualità in un duo?

Nel lontano Agosto del 1994, eravamo entrambi all’inizio del nostro anno di studio alla Juilliard School di New York e ci siamo ritrovati durante l’Orientation week, la settimana di introduzione alla vita nella Grande Mela e alla prestigiosa università musicale a cui eravamo stati ammessi. Ci ha uniti anche il fatto di abitare nello stesso dormitorio e di ritrovarsi iscritti agli stessi seminari per l’anno accademico che stava per iniziare. Venivamo entrambi dall’Europa e la nostra italianità ci ha subito uniti in un‘amicizia speciale, fatta di una complicità e di un’energia debordanti, come solo due ventenni sentono dentro. Ci siamo poi subito iscritti come duo nella classe di Musica da camera del leggendario Professor Galimir, e abbiamo cominciato immediatamente a lavorare insieme per preparare le prime lezioni. La sonata di Brahms in mi minore era stata la prima partitura scelta per conoscerci musicalmente. Ci siamo poi consolidati come duo “a lungo termine” e con qualche ambizione in più in un modo molto naturale, continuando a lavorare insieme anche dopo che ci eravamo laureati e ci eravamo ritrasferiti uno a Basilea e l’altro a Monaco di Baviera. A quel punto il ritrovarsi per le prove non era più logisticamente così facile, ma i primi concerti che ci attendevano in Europa ci hanno spronato a continuare, ad approfondire la simbiosi, nonostante le distanze geografiche che ci dividevano, creando uno spirito meno goliardico e più professionale all’interno dell’ensemble.

2. Qual è per voi il valore della dimensione cameristica del fare musica? Esso è cambiato nel tempo, nel rapporto con il pubblico?

Fare musica insieme vuol dire condividere. Questo aspetto ci ha sempre affascinato maggiormente rispetto al suonare da solista. Ne scaturisce un approccio più sociale, un’avventura più ricca, che si fonde con l’amicizia. Anche sul palcoscenico si sommano e fondono le personalità e si mettono in comune di fronte al pubblico le esperienze musicali e umane di ognuno di noi, sostenendoci vicendevolmente.

3. Le vostre formazioni personali si sono incrociate nelle aule della prestigiosa Julliard School di New York. Qual è il patrimonio che quell’esperienza ha lasciato nel vostro percorso? Quali sono stati i didatti e gli approcci che hanno avuto un’impronta particolarmente significativa su di voi?

La Juilliard si trova felicemente ubicata nel Lincoln Center, all’incrocio tra Broadway e la 65° Strada, nella mitica Upper Westside di Manhattan. Ovviamente poter vivere la spumeggiante città di New York che ci attorniava in modo libero e aperto, ed entrare in contatto con un’offerta culturale tra le più vive al mondo ci ha sedotto e arricchito per tutta la permanenza. Anche all’interno della scuola si respirava un fermento e un’energia incredibili; era ed è tutt’oggi un crocevia di talenti musicali, ma anche del mondo della danza classica e contemporanea e di aspiranti attori. Per noi poter avere lezioni quasi quotidiane con personalità quali l’ottantenne violoncellista Harvey Shapiro (che negli anni Quaranta suonava nell’orchestra di Toscanini) o la grande pianista russa Oxana Yablonskaya, ci ha regalato l’opportunità di assorbire un’etica professionale di una generazione che sta ormai scomparendo, che ha un gusto molto particolare, basato su un’importane tradizione ebraica e sovietica.

4. In questo ultimo lavoro discografico tornate, in un certo senso, sui sentieri che hanno visto gli esordi della vostra sinergia. Com’è stato ripercorrerle a distanza di 25 anni? Quali aspetti e pieghe vi hanno rivelato attraverso questa rivisitazione?

È vero, questo album è una sorta di regalo che ci siamo fatti per festeggiare i nostri primi 25 anni di collaborazione musicale. Rivisitare dopo così tanti anni l’Opera 38 di Brahms ci ha sicuramente ricordato le varie tappe in cui questa geniale partitura ci ha accompagnato, e in cui abbiamo potuto maturarla in concerto. Pensiamo in particolare ai corsi di Imola con il grande Pier Narciso Masi e al suo umorismo toscano, alle lezioni all’Accademia di Basilea con Gérard Wyss e Thomas Demenga, alle lezioni a casa di Maria Curcio a Londra, o ancora ai corsi a Prussia Cove in Cornovaglia con Steven Isserlis o Andras Schiff o l’ungherese Ferenc Rados. Più tardi alle diverse tournee attraverso il Sud Africa, l’Italia, la Germania, luoghi e persone a cui questa partitura è legata in modo forte. Risuonandola abbiamo rivissuto tutto quanto creando con essa una nostra personale alchimia.

5. Colpisce la scelta, nel percorso d’ascolto, di proporre le due Sonate op. 38 ed op. 99 in un ordine capovolto rispetto alla cronologia che le vede distanziate di oltre vent’anni. Quasi una visione retrospettiva, uno sguardo a cogliere, nella riflessione del poi, ciò che è stato in ciò che sarà, nella scrittura di Brahms e, più in generale, nella visione di un mondo.

Invertire l’ordine delle due sonate è stata per noi una scelta quasi scontata, e fa parte della volontà nostra di ripensare in modo fresco questi due capolavori brahmsiani, per presentarli magari ad una nuova generazione che ancora non le conosce. Ci piaceva molto aprire il disco con il ruggito in fa maggiore del pianoforte che lancia il violoncello come da un trampolino nella vitalissima Op.99. Così facendo chiudiamo l’album con la possente fuga della mi-minore, il che è pure un ultimo fuoco d’artificio che chiude in bellezza un percorso ricco di emozioni. Anche la copertina del CD vuole contribuire allo spirito innovativo di questo disco, ricca di colori e di elementi contemporanei, come una matrice di computer, che l’artista Sara Petraglio ha poi inglobato in un suo quadro.

6. Da cosa nasce questa affinità particolare con la voce brahmsiana?

La musica di Brahms ci ha sempre accompagnato: adoriamo le sue quattro sinfonie, i suoi due stupendi sestetti per archi. I concerti sono dei capolavori assoluti. Siamo cresciuti ascoltando e suonando i quartetti e il quintetto con Pianoforte. Per noi la sua musica è il top del top del romanticismo. Ci permette di “cantare” coi nostri strumenti, la sua architettura classica ci costringe ad essere attenti alla costruzione del fraseggio.

7. Qual è il vostro approccio allo studio ed alla costruzione della lettura interpretativa?

Naturalmente nel corso degli anni c'è stata una evoluzione caratterizzata da un lato da una conoscenza sempre più profonda della partitura, e dall'altro dalle esperienze concertistiche che ci hanno permesso più emancipazione e consapevolezza. Siamo molto rigorosi nella lettura e nell’apprendimento del messaggio espresso dal linguaggio del compositore, cerchiamo però allo stesso tempo di rendere questi personali filtrandoli attraverso il nostro gusto e la nostra personalità musicale.

8. Si coglie, nel vostro progetto, una forte tensione comunicativa che tutto, in questo ascolto, rivela come una dichiarazione di intenti in cui nobile divulgazione e ricerca di un terreno di condivisione sembrano compenetrarsi. C’è una fascia, una categoria di ascoltatori a cui avete pensato prioritariamente quando avete concepito questo mosaico brahmsiano?

Sarebbe banale rispondere che è nostra intenzione rivolgerci a tutti gli ascoltatori ma, come già menzionato in una risposta precedente, pensiamo di rivolgerci soprattutto ai più giovani. Essi rappresentano la fetta di pubblico che oggi ha più bisogno di intraprendere legami con questo mondo musicale al quale questo linguaggio può apparire più estraneo. Siamo convinti che solo vivendo questa musica così intensamente (ecco il motivo del nostro titolo #WeAreBrahms), si possano far riscoprire le emozioni, le necessità espressive, le incredibili energie che si celano dietro questa musica, Brahms come vero eroe romantico dei nostri tempi.

9. In questi mesi drammatici e faticosi, la chiusura di teatri e sale da concerto ha determinato la mancanza di un prezioso antidoto al clima di terrore dilagante ma ha, al contempo, sottolineato l’accessorietà della bellezza, nel suo senso più alto, al vivere sociale. Come state vivendo questa fase? Quali soluzioni, a vostro avviso, potrebbero essere messe in atto per ripensare la dimensione della fruizione musicale che consentano di rammendare il filo, oggi spezzato, tra artista e pubblico?

Abbiamo terminato di registrare proprio poche ore prima del Lockdown. Forse questo disco pubblicato nel mezzo di una pandemia è il messaggio più forte che potessimo mandare: la musica non può e non deve fermarsi. Senza entrare nelle scelte politiche fatte dai vari governi, ci sembra palese che l'arte sia considerata un po’ dappertutto come attività non essenziale, e questa è una grave deriva della nostra società. Ci sorprende che queste politiche siano state condivise anche da paesi storicamente più sensibili alla cultura.
Noi pensiamo che si debba ricominciare ad insegnare ai bambini l'importanza e la necessità dell'espressione attraverso le arti; solo così le prossime generazioni potranno riammettere l'arte nella filiera essenziale dei beni necessari.