Recensioni - Cultura e musica

Intervista ad Alberto Mesirca

Abbiamo incontrato il celebre chitarrista in occasione della 41esima edizione di Operaestate a Bassano del Grappa

Corde che risvegliano mondi sopiti. La chitarra di Alberto Mesirca lascia in chi l’ascolti anche per pochi minuti la densa emozione di un riaffiorare – lento, discreto - di voci riposte, di riverberi lontani pronti a sverlarsi su sollecitazione dell’interprete. Per noi, galeotto è stato il viaggio che l’interprete veneto ha condotto nel mondo trascolorante di Vicente Asencio, consegnandolo ad una preziosa incisione discografica. Una folgorazione. Abbiamo così deciso di incontrarlo, per parlare di progetti presenti e futuri.

Maestro Mesirca. Incontrare il pubblico dopo un anno di bavaglio alla musica, alla libertà, alla vita. Farlo con un progetto che vede la chitarra dialogare con una voce narrante e disegnare un percorso narrativo e di ascolto, nel più ampio contesto di una rete di appuntamenti in cui arti e artisti si incontrano in un intenso connubio. Ci racconti com’è nata l’edizione 2021 di “Operaestate”, la rassegna organizzata tra Bassano del Grappa ed altre 27 sedi, giunta alla sua 41esima edizione, che La vede protagonista, insieme a Luca Scarlini e a tanti altri artisti, fino al prossimo 10 ottobre.

Operaestate Festival, giunto quest’anno alla 41esima edizione, è una manifestazione che abbraccia numerose discipline artistiche, come la danza, la musica, il teatro e anche il cinema. La mia collaborazione con il Festival è abbastanza lunga. All’inizio sono stato contattato dal fondatore del Festival e da Rosa Scapin, direttrice artistica, per fare un recital solistico. In seguito Rosa Scapin, con la grande passione che la contraddistingue per i progetti interdisciplinari e l’interesse a rinnovare continuamente le collaborazioni, ha pensato di unire la chitarra ad uno spettacolo di narrazione con il drammaturgo e storyteller Luca Scarlini. Già da anni proponiamo diversi progetti, sviluppati sulla base di idee iniziali che partono sempre da Luca, alle quali cerco di affiancare delle scelte musicali che funzionino bene, non solo come accompagnamento ma come elemento importante all’interno della narrazione.  Per quanto riguarda l’edizione di quest’anno, abbiamo lavorato intorno alla figura di Pietro Pagello, personaggio di Castelfranco Veneto per lo più sconosciuto, che è stato la causa della rottura della relazione amorosa tra George Sand e Alfred de Musset. Questa figura, che ha poi terminato la sua vita come medico a Belluno, è rimasta a lungo nell’oblio e molto misteriosa. Intorno a questo progetto abbiamo scelto delle musiche di Chopin, per anni compagno di George Sand, ma anche dei Preludi di Francisco Tarrega, una bellissima canzone di Francesco Paolo Tosti trasposta e riarmonizzata da Sylvano Bussotti e altri componimenti dell’Ottocento chitarristico. Il secondo appuntamento con Luca Scarlini, il 14 agosto a Bassano del Grappa, è invece attorno a Dante, di cui quest’anno ricorre l’anniversario dei 700 anni dalla morte. Stiamo lavorando su un programma particolare con musiche di Mario Castelnuovo-Tedesco che ha musicato, tra l’altro, la Ballata dall’esilio di Guido Cavalcanti. Ci saranno inoltre riferimenti alle iconografie nella storia delle varie parti della Divina Commedia di autori come William Blake; sono riuscito a trovare delle musiche, anche contemporanee, che sono ispirate a William Blake, per esempio la bellissima Song of Innocence di Claudio Ambrosini che ho già registrato in un disco monografico dedicato al compositore veneziano.

Nell’immaginario collettivo, non senza banalità, la chitarra è strumento spesso confinato ad un repertorio “da meditazione”: solitario, introspettivo, raffinato, solo occasionalmente coinvolto in un’interazione pienamente paritaria con gli strumenti del più diffuso camerismo. La sensazione, ascoltandoLa, è tuttavia di una straordinaria tensione a cercare, nonché ad immaginare, possibili assonanze tra il sé e l’altro. Connessioni, nuove prospettive, differenti facce di quel prisma infinito che è la frase. Quanto c’è di Lei, del suo approccio alla musica e della sua visione del ruolo della musica in questa edizione della rassegna e, in particolare, negli appuntamenti che la vedono in scena?

Da studente ho avuto la fortuna di avere un insegnante che ha lavorato moltissimo come camerista all’interno di gruppi di musica da camera. La fortuna principale è sempre stata quella di non pensare la chitarra come strumento prettamente solistico ma in dialogo con gli altri strumenti. Anche il fatto di non essere strettamente legato alla tecnica chitarristica, ma di ragionare in maniera più musicalmente universale, è stato un motivo e una forza in più che mi ha trasmesso il M° Gianfranco Volpato del Conservatorio di Castelfranco Veneto. In questi progetti ci sono mie trascrizioni originali di alcuni pezzi. Per esempio ho trascritto per chitarra il pezzo di Sylvano Bussotti, originario per voce e pianoforte. Allo stesso modo, nel concerto del 14 agosto, ci sarà il pezzo di Luzzasco Luzzaschi Quivi Sospiri che riarmonizzerò. E’ un madrigale a cinque voci che, secondo una tradizione rinascimentale, traspongo per strumento solista. Compositori come Francesco Canova Da Milano o John Dowland avevano fatto questo tipo di lavoro, ovvero trasposizioni di componimenti polifonici anche molto complessi a 4-5 voci per uno strumento a pizzico a sei corde come il liuto rinascimentale o la vihuela.

L’edizione 2021 di Operaestate Festival è dedicata alle “Ecologie del presente”. Musica in costante contatto con altre espressioni artistiche come veicolo e testimonianza di un impegno e di un pensiero da tenere vivo con occasioni di confronto e di arricchimento. Qual è, per quello che da artista Lei può catturare dal suo punto di vista privilegiato, il margine di incidenza dell’arte nella nostra stringente attualità rispetto alle sempre più drammatiche urgenze che ci chiamano in causa come individui e come collettività? Ovvero: cosa può e cosa deve fare l’arte, la musica in primis, per risvegliare o rinforzare una coscienza collettiva?

Viviamo in un momento alquanto complesso e drammatico; io mi ritengo privilegiato di poter vivere con la musica e di aver sentito in modo relativo delle difficoltà di quest’ ultimo anno potendo coniugare la vita artistica con quella dell’insegnamento. Sono convinto che l’arte possa essere sempre di aiuto, anche per le persone che quest’anno si sono ritrovate relegate in casa per lungo tempo. Ho riscontrato un grande desiderio di ascolto da parte del pubblico che, durante queste performance estive, è sempre stato molto numeroso e attento. Speriamo che questa condizione duri, che non ci siano altre chiusure verso settembre-ottobre. Intanto facciamo il possibile per avvicinare la gente che ci ascolta ai valori dell’arte, a valori quasi spirituali. Il fatto di essere in vicinanza con il bello artistico, infatti, può essere sia un modo per allontanarsi dalla difficile realtà del momento sia la possibilità di offrire nuovi e particolari spunti alla gente che viene ad ascoltarci. Le storie di Luca Scarlini sono sempre molto interessanti, lui è molto bravo nel raccontarle rendendole piacevoli all’ascolto e io cerco sempre di dare un valore in più a queste narrazioni, anche grazie a trascrizioni pensate ad hoc per ogni serata o a componimenti di rara esecuzione.

Quali sono gli artisti, non necessariamente musicisti, a cui si sente più vicino per temperamento ed approccio? Quali – linguaggi, passioni coltivate, dettagli della quotidianità – rappresentano per Lei un’importante fonte di ispirazione e di motivazione a proseguire il lavoro di ricerca artistica?

Ci sono tantissimi artisti ai quali mi sento molto vicino. Per quanto riguarda la musica per chitarra, ho sempre trovato una grande fonte di ispirazione in Julian Bream, grande chitarrista a cavallo tra il XX e il XXI secolo, pioniere nella scoperta di repertori inusitati e dedicatario di opere di illustri compositori nel panorama internazionale, non solo chitarristico. E’ stata una figura molto coraggiosa, senza timori di ricevere critiche, che ha portato avanti una costante ricerca addentrandosi sia nel repertorio rinascimentale che in quello contemporaneo e dialogando sempre  in maniera paritaria con gli strumentisti e i cameristi extra chitarristici. Poi naturalmente qualsiasi tipo di arte può essere influente. Per me sono stati molto d’ispirazione, per esempio, i miei amici, e casualmente anche concittadini, della compagnia teatrale Anagoor, con i quali ho avuto  la fortuna di collaborare per un progetto dedicato a Shakespeare. Un grande legame, oltre che una fondamentale fonte di ispirazione comune, è stato quello di aver avuto la stessa insegnante di greco e latino al Liceo Classico Giorgione, la professoressa Patrizia Vercesi che, oltre all’insegnamento delle sue materie, ogni giorno a ogni lezione ci trasmetteva degli spunti di ricerca artistica che si sono poi rivelati fondamentali. Tuttora ricordo i suoi insegnamenti e ne faccio tesoro, così come fanno Simone Derai e tutta la compagnia di Anagoor.

Solitamente, nel Suo caso, come nasce un progetto artistico? Quali sono i segnali che La portano a pensare che con un collega potrebbe essere possibile una condivisione profonda quanto feconda di idee e di intenti?

E’ importante che si instauri un dialogo fattivo e fecondo tra due artisti, non una sorta di monologo dell’uno che poi effettivamente non trova risposta nell’altro. Secondo me i progetti interessanti nascono proprio da un dialogo in cui gli artisti coinvolti propongono delle idee alle quali seguono delle scelte comuni e condivise; scelte imposte solamente da una persona creano un rapporto che può essere professionale ma generano spesso dei risultati che funzionano solo per un unico progetto, non per delle collaborazioni a lungo termine. In riferimento ai progetti prettamente musicali, ho sempre cercato di studiare repertori che sono stati poco esplorati cercando di rintracciare una qualità artistica alta nelle composizioni.  Per quanto riguarda i progetti discografici, invece, vedo che i recital tendono ormai ad apparire superati ed è indubbiamente meglio dedicarsi ai progetti monografici intorno ad un solo compositore o intorno ad un unico tema. In questo periodo sto studiando molto la musica del Novecento storico italiano e il mio progetto sarebbe quello di registrare a breve proprio questa musica, come la Sequenza di Luciano Berio o Algo di Franco Donatoni.

La vita di un musicista vive in un ecosistema a dir poco fragile. Lo studio, il rapporto da ricercarsi e da consolidarsi con l’autore da interpretare. La ricerca della sua voce, del suo passo, da tradurre nella fluidità espressiva di una padronanza dello strumento tecnicamente ineccepibile. La solitudine dei giorni di lavoro. L’incontro con il pubblico. Oggi questi ritmi sembrano aver ripreso i primi passi di quello che è il loro corso, seppur timidamente e con mille incerti. Rimanendo nell’ecologia come metafora, quali equilibri sente maggiormente danneggiati dalla catastrofe globale del Covid 19?

Sono un po’ pessimista riguardo le riaperture e, sperando di sbagliarmi, temo che in un breve futuro ci possano essere delle nuove chiusure. Per questo dobbiamo sfruttare assolutamente questo momento di relativa riapertura per fare il più possibile, fare più concerti possibili non solo per l’aspetto lavorativo ma proprio per il rapporto e la comunicazione con la gente, dobbiamo cercare di portare in giro l’arte il più possibile. In Italia abbiamo la fortuna di avere un tempo relativamente stabile e quindi di poter fare molti concerti all’aria aperta, cosa che per esempio nel Nord Europa è molto più difficile. Tra i settori più danneggiati sento di sicuro quello della cultura, è vero che le istituzioni musicali sono molto in crisi però oggettivamente i soldi, a livello nazionale, ci sarebbero. E’ che non sono investiti in un settore come la cultura perché probabilmente ritenuto di minor interesse rispetto ad altri, nonostante l’arte sia un mezzo indispensabile per aprire la mente e la sensibilità degli ascoltatori.

Dante e George Sand. La musica come filo conduttore di percorsi preziosi per accostarsi alla persona, oltre che all’intellettuale, alla figura iconica e rivelarne pieghe segrete, inedite, dai risvolti non di rado sorprendenti. Ci racconti la linea che Lei e Luca Scarlini avete individuato per scavare nelle biografie umane ed artistiche di questi personaggi e gli aspetti che avete privilegiato delle rispettive personalità e vicende nella costruzione dei due appuntamenti ad essi dedicati.

Dal mio punto di vista, per il progetto su Dante la ricerca musicale è stata molto difficile in quanto per strumenti a pizzico, che pur hanno avuto una grandissima tradizione sin dai tempi antichi, addirittura ancor prima rispetto agli strumenti ad arco o a tastiera come il liuto rinascimentale, la vihuela, poi il liuto barocco non si trova materiale contemporaneo a Dante. Ci sono naturalmente dei brani di canto gregoriano che è il materiale di musica scritta più antico che abbiamo a disposizione, ma per quanto riguarda la musica strumentale ci si trova in maggiore carenza di materiale. Siamo riusciti a trovare e a creare delle assonanze, a trovare dei riferimenti e dei richiami al mondo di Dante. Ho già citato Luzzasco Luzzaschi che ha scritto un madrigale sul testo Quivi Sospiri tratto dalla Divina Commedia. Poi per esempio il padre di Galileo Galilei, Vincenzo Galilei, grande liutista padovano autore de Il Fronimo, aveva musicato il canto del Conte Ugolino ma purtroppo questo brano è andato perduto. L’idea è di restare nell’ambito della musica di Galilei eseguendo altri brani dello stesso periodo che in qualche modo possano evocare il mondo musicale di questo compositore. Poi abbiamo ricordato Claudio Ambrosini che ha scritto Song of Innocence, ispirata a William Blake che ha ritratto alcune immagini della Divina Commedia e, sempre in riferimento a Dante, abbiamo nominato la Ballata dall’esilio di Castelnuovo-Tedesco, del quale eseguirò anche il Capriccio Diabolico in omaggio a Paganini.  Invece per il progetto su George Sand, Alfred de Musset e Pietro Pagello abbiamo musicato Minion di Francesco Paolo Tosti nella versione di Sylvano Bussotti, i Preludi di Chopin trascritti da Francisco Tarrega, i Preludi di Tarrega stesso, Fernando Sor, che per l’Ottocento chitarristico francese calzava perfettamente con George Sand e con Chopin, Giulio Regondi che è stato musicista contemporaneo a George Sand e un grande chitarrista, l’unico chitarrista che è riuscito a girare i saloni europei invitato a suonare anche da Clara Schumann. Infine abbiamo terminato il concerto con una piccola chicca: Pietro Pagello, questa figura di medico castellano, si dilettava anche nella scrittura e ha scritto una poesia che richiama le gondole, recitata da Luca Scarlini sulla musica de La Biondina in Gondoleta.

Ha trovato qualche cambiamento positivo nella ricezione e nell’attesa della proposta musicale da parte del pubblico tra prima e dopo la pandemia?

C’è tanta fame di cultura e tanta voglia di andare ai concerti, fino adesso il pubblico è stato molto entusiasta e molto attento.  Mi diceva uno spettatore che anche solo il fatto di essere presenti ad un concerto dal vivo e vederne tutti i rituali, come per esempio gli strumenti che vengono accordati e che si da il via in un progetto di musica da camera era già di per sé emozionante. Secondo me si ha voglia di tornare a queste situazioni che una volta erano assolutamente normali; un risvolto utile di questa pandemia è stato probabilmente quello di far capire cosa è mancato, il lato umano della situazione dal vivo che può comportare anche l’errore o un imprevisto durante un concerto. Durante la chiusura si è potuto ascoltare tantissima musica registrata ma è certamente una situazione più sterile rispetto a quella del fruire la musica dal vivo. Penso che in molti se ne siano resi conto e abbiano voglia di tornare a queste situazioni.

In Italia sta prendendo sempre più piede la formula di rassegne con appuntamenti sovrapposti, itineranti, in luoghi alternativi alla sala da concerto o comunque meno formali, vòlte a scomporre e a sdrammatizzare il rigido cliché di una plurisecolare consuetudine. Personalmente, come vede il futuro della fruizione?

Credo che il futuro della fruizione sia anzitutto un ritorno alla musica dal vivo; da un lato i concerti canonici nelle sale da concerto ci saranno sempre, così come gli abbonamenti nei teatri con il pubblico che avrà sempre il desiderio di godere della stagione concertistica stabile di un teatro. Anche solo la preparazione all’evento è una formalità che piace molto. Frequentare poi un posto prestigioso con una buona acustica e avere la certezza di orchestre importanti è un desiderio irrinunciabile. Al contempo però ci sono tantissime altre situazioni alternative non meno interessanti. Con Luca Scarlini cerchiamo di esibirci in posti di particolare bellezza, per esempio il 25 settembre saremo a Palazzo Marini a Firenze per un progetto dedicato a Bussotti. Siamo stati in scena a Treviso in una bellissima chiesa, nel chiostro di Santa Caterina, e cerchiamo di essere in luoghi che permettano a chi viene al concerto di conoscere  delle località di forte suggestione.  Credo che ormai l’evoluzione della fruizione digitale si sia evoluta a tal punto che sia quasi impensabile poter andare oltre. Ora è possibile fruire di qualsiasi tipo di musica su qualsiasi sistema digitale, lo streaming ha in qualche modo bloccato il canale del cd ma adesso si sente anche il limite di questa fruizione, infatti si è tornati a costruire i giradischi e si è tornati al vinile anche per la sua dimensione di oggetto artistico. Proprio per questo penso che la fruizione digitale sia arrivata al punto di saturazione e si sente sempre più forte la volontà di tornare alla musica dal vivo, alla versione primordiale del fare musica, che è poi anche la situazione ideale per gli artisti in quanto permette loro di essere più aperti e maggiormente compresi.

Grazie infinite per la Sua disponibilità e cortesia.

Con stima

Elide Bergamaschi