Recensioni - Cultura e musica

Intervista al Maestro Enrico Onofri

Il Nuovo direttore principale dell'Orchestra Filarmonica Toscanini ci racconta dei suoi progetti futuri

Un talento cristallino al servizio di un’idea di musica in cui il rigore e la libertà non siano antipodi ma vicinissimi poli d’attrazione di un lavoro incessante, teso a scandagliare la pagina per cercarne, tra superficie e abissi, la voce più vicina al vero. E, nel vero, il suo aderire alla mano di chi la plasma e la ascolta. Il suo incarnarsi nel tempo. Dopo la lunga scia di straordinarie collaborazioni da primattore alla corte di Savall, Antonini e altri mille granitici riferimenti del repertorio barocco e neoclassico, Enrico Onofri ora approda alla direzione della Filarmonica Toscanini, succedendo sul podio ad Alpesh Chahuan, nella Stagione 2020/2021 che inaugurerà il prossimo 9 ottobre. Lo abbiamo incontrato per capire come intende affrontare questo nuovo percorso.

 

Gentilissimo Maestro, la nomina a Direttore principale della Toscanini è l’ultimo incarico di una carriera costellata da prestigiose collaborazioni in ambito internazionale. Cosa rappresenta per Lei questa ennesima tappa nel Suo cammino artistico e personale?

La gioia di collaborare con un’orchestra italiana, per di più nella mia regione (Onofri è nato a Ravenna ndr.), dopo così tanti anni spesi all’estero è ovviamente grandissima. Parma storicamente è una città dalla profonda vocazione musicale che ha sempre guardato oltralpe: questo incarico dunque mi ricollega alle origini e al contempo completa il sentirmi pienamente europeo.   


Il Suo straordinario percorso artistico da concertmaster in realtà d’assoluta eccellenza come La Capella Real ed Il Giardino Armonico ha radici nello studio del repertorio barocco e nella rigorosa ricerca di una prassi esecutiva fedele al testo ed al contesto. Seppur forte di un ventaglio a tutto campo, la Toscanini si contraddistingue da sempre per una frequentazione preferenziale con le grandi opere della letteratura di XIX e XX secolo. Quali aspetti della Sua formazione ritiene utile trasferire nell’approccio alla pagina come stimoli ed occasioni di arricchimento e di crescita per la Filarmonica?

Il mio repertorio come artista “storicamente informato” va dal Seicento a Bartók. Le prassi storiche, sia del repertorio settecentesco, sia di quello romantico e del primo Novecento sono spesso viste come un approccio sterile all’arte, un limite all’espressione. Trovo che guardare alla storia, oggi, sia invece importante per trovare una moderna identità. La stretta gabbia imposta talora dalle prassi storiche è in realtà uno stimolo a volarne fuori e a trovare mezzi espressivi al servizio del nostro sentire presente. Tuttavia è un cammino scivoloso: l’opposto di un algido rigore storicista è infatti la tentazione di scovare nelle antiche prassi ciò che giustifica i nostri capricci d’interprete, un approccio facile, abusato e vincente a livello commerciale, ma che col tempo tradisce per primo l’interprete. Spero che il mio lavoro sia di stimolo a ciascun musicista dell’orchestra per interrogarsi sul senso del patrimonio musicale che abbiamo ricevuto in eredità.

 

Lei riceve il testimone dalle mani di Alpesh Chahuan, per anni alla testa dell’Orchestra. Qual è a Suo avviso, a fronte del lavoro svolto, la cifra identitaria che contraddistingue attualmente la Toscanini?

Da Chahuan l’orchestra eredita un magnifico impasto sonoro e una passionalità che saranno di grande aiuto al mio lavoro; gli sono estremamente grato.

 

Nella pianificazione del lavoro che vi attende, a quali aspetti ritiene necessario dare priorità? Da cosa inizierà, insomma, per imprimere alla Toscanini il sigillo della Sua firma e della Sua visione?

Punterò su flessibilità, plasticità, trasparenza, articolazione, respiro: un approccio di tipo “cameristico” necessario a mio avviso anche ad organici vasti, nel solco della mia formazione di stampo mitteleuropeo, che chiede a ciascun musicista grande coinvolgimento personale, capacità di mettersi in relazione a più dimensioni con la partitura e con i colleghi. Un’orchestra fatta di tanti gruppi da camera che si riverberano tante volte quanti sono gli elementi che la costituiscono.

 

Su quali pagine del repertorio ritiene imprescindibile soffermarsi nell’immediato? A quali invece intende puntare a più lungo raggio?

Dipenderà dagli sviluppi dell’emergenza sanitaria, che potrebbe rendere complessa la pianificazione del lavoro con conseguenze sugli organici se la situazione generale non migliorerà. Incrociamo quindi le dita, pronti ad adattarci. È comunque mia intenzione seguire il cammino già percorso con le orchestre sinfoniche con cui ho lavorato e lavoro tuttora Oltralpe: tanto classicismo e le opere del romanticismo che ne continuano la tradizione, ma non necessariamente con uno schema cronologico. Al contrario è importante cercare connessioni immediate tra epoche: l’età dei Lumi ha segnato profondamente il linguaggio strumentale successivo, che non può essere compreso appieno senza approfondire quello precedente. 

 

Una confidenza. La sensazione, da spettatori, è che talvolta i cartelloni delle importanti Stagioni, ancor prima di quelle minori, preferiscano il facile gioco del puntare ad una ristretta ricorrente rosa di nomi chiamati in qualità di ospiti, a scapito di quella personalizzazione che potrebbe valorizzare la singolarità di una proposta di programmazione, nonché la “biodiversità” di tanti interpreti inspiegabilmente ai margini dei grandi circuiti. Qual è il Suo punto di vista in merito? Quali sono gli artisti con cui, in futuro, sogna una collaborazione da Direttore della Toscanini?

Il lavoro che al momento mi è stato affidato punta proprio a questa ricerca di identità. Ritengo altresì la “biodiversità” un elemento importante, soprattutto in un percorso di crescita: confrontarsi con linguaggi differenti è sempre costruttivo. L’incerta situazione sanitaria e di mobilità internazionale suggerisce ancora prudenza circa le possibili collaborazioni – è stata annunciata solo la prima parte della stagione – ma spero di poter collaborare con solisti in grado di supportare la mia ricerca sulla leggerezza e sulla flessibilità. Al momento, la prima collaborazione prevista è con Vadym Kholodenko, artista in residenza della Toscanini, pianista di rara raffinatezza e forza espressiva che mi pare perfettamente in linea con tale ricerca.

 

I mesi scorsi hanno rappresentato per l’Italia e non solo uno dei momenti più drammatici e bui in cui anche la musica ha lasciato il posto al silenzio. Con una sorta di appello al pubblico che da ormai vent’anni segue con assiduità le proposte della Toscanini, provi a delineare l’atmosfera e lo spirito che a Suo avviso caratterizzeranno il nuovo corso con Lei alla guida della formazione

Mi piacerebbe poterle rispondere con determinazione, ma questa epidemia ci ha ricordato che occorre vivere pienamente il momento presente, apprezzare la nostra fragilità, pianificare ma esser pronti al cambiamento. La musica è un’arte che svanisce appena viene prodotta, nasce dal silenzio e vi ritorna: auspico che i musicisti e il pubblico possano dunque onorarla vivendola appieno, nel qui ed ora.

La rinascita, a Parma, ha dunque il profumo carico di promesse di una pagina nuova, tutta da scrivere. E da assaporare insieme.