
Come si costruisce l’identità di una nazione. Eastwood unisce azione e leggerezza per raccontarci un sogno realizzato. Ma è “solo” un bel film…
Un film di Clint Eastwood.
Con Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern. Julian Lewis Jones, Adjoa Andoh, Marguerite Wheatley, Leleti Khumalo, Patrick Lyster, Louis Minnaar, Penny Downie, Shakes Myeko, Sibongile Nojila, Bonnie Henna, Grant Roberts, Langley Kirkwood, Robert Hobbs
Titolo originale Invictus. Drammatico, durata 134 min. - USA 2009. - Warner Bros
Nelson Mandela, Madiba per il suo entourage di amici e stretti collaboratori, è una vivente figura leggendaria e, confrontandosi con lui, si corre sempre il rischio dell’agiografia un po’ retorica.
Rischio che Clint sfiora appena, ma è presente dietro l’angolo; il regista riesce a far intravedere le difficoltà e le contraddizioni di Mandela nella sua vita privata, aspetto spesso presente nelle biografie dei sommi, come se la grandezza pubblica fosse costretta a compensarsi con la piccolezza psicologica del focolare privato. Del resto anche i grandi uomini e le grandi donne sono fatti di luci e di ombre come noi, che vorremmo ispirarci a loro.
Il film, con la regia pulita e rigorosa a cui ci ha abituati Eastwood, narra la genesi e il realizzarsi della famosa partita di rugby del 1995, che assicurò al Sudafrica la coppa del mondo, giocando contro gli apparentemente invincibili guerrieri Maori All Blacks. Mandela, impersonato da uno straordinario Morgan Freeman (in corsa per l’Oscar) e splendidamente doppiato, eletto presidente dopo ventisette anni passati in carcere, scommette sulla squadra fallimentare degli Springboks, simbolo della minoranza apartheid, capitanati dal biondo e “ariano” Francois Pienaar, un credibile Matt Damon.
Le sue sicurezze di bianco segregazionista verranno pian piano demolite dalla soavità adamantina di Mandiba, che agirà su di lui con pacati consigli e con la consegna di una poesia di William Ernest Henley, la stessa che dà il titolo al film e che ha sostenuto lo spirito di Mandela in carcere.
Nella visita alla cella che lo tenne prigioniero, una delle scene più belle del film, il capitano si chiederà come è possibile che un uomo, imprigionato per ventisette anni, possa perdonare i suoi carcerieri. E’ che Madiba, dopo averli combattuti, ha capito che, nel ruolo istituzionale che ora riveste, deve usare il suo carisma e la sua saggezza intrisa di sofferenza per riconciliare la nazione, e sa che può farlo solo attraverso il rugby e il suo capitano. Ma anche tessendo una rete di relazioni solidali nel suo staff e negli addetti alla sicurezza, che, inizialmente ostili gli uni agli altri per il colore della pelle, imparano la difficile arte della collaborazione e dell’amicizia, riunite alla fine nella stima reciproca. Ed è forse questa la strada che Eastwood, “moral guidance”, indica per un futuro diverso, il nostro collettivo e quello individuale.
Peccato che, in questa Italietta immersa nella corruzione e nei piccoli uomini, non ci sia traccia di eticità…e allora grazie Clint che ci fai commuovere e sognare.
Anche noi vorremmo essere i capitani della nostra anima.
Elena Bettinetti