Recensioni - Cultura e musica

Kurt Masur per un Beethoven di (grande) tradizione

La quinta e la sesta sinfonia eseguite dall’Orchestra Nazionale di Francia

Non capita di frequente che all’interno della stessa rassegna si possano ascoltare nell’arco di due settimane ben quattro delle sinfonie di Ludwig Van Beethoven (praticamente tutte le più conosciute ad eccezione della Nona)  eseguite da prestigiose orchestre. Ed invece è quanto accade a Verona nel corso dell’attuale Settembre dell’Accademia, ed il compito di aprire questo mini-ciclo è toccato nientemeno che a Kurt Masur alla testa dell’Orchestra Nazionale di Francia che, in un concerto tutto dedicato alla figura del musicista di Bonn, aperto dall’ouverture Fidelio, ha regalato due affascinanti interpretazioni della Quinta e della Sesta.

Difficilmente si potrebbero immaginare due composizioni più differenti ed allo stesso tempo così complementari, non a caso la loro gestazione avvenne nello stesso periodo ed ambedue videro la loro prima esecuzione la sera del 22 dicembre 1808. Se la Quinta, complice anche la tonalità di do minore, drammatica per eccellenza,  rappresenta il momento più tragico all’interno del corpus sinfonico beethoveniano, la Sesta, legata all’idea romantica di Schelling di un panteismo nella natura, ne costituisce una sorta di superamento in favore di una visione più idilliaca di grande serenità.
Dal punto di vista interpretativo la lettura di Masur si inserisce all’interno della grande tradizione sinfonica del novecento, rinunciando a quello stile un po’asciutto ed a volte spigoloso che spesso è sinonimo del Beethoven attuale, ed optando per tempi più lenti e distesi che si riallacciano idealmente  a certe esecuzioni di Fürtwängler o di Giulini.
Ecco quindi una sesta sinfonia estremamente distesa, fluida, ricchissima nei colori e nitida nel sottolineare gli interventi delle singole sezioni. La descrizione della natura si dipana quasi naturalmente, senza strappi e senza quelle drammatizzazioni tipiche di certe bacchette votate al romanticismo. Per questo anche la scena del temporale stempra le tinte corrusche, rinunciando a fragori ed eccessi sonori in favore di una straordinaria musicalità che sfocia nello slancio vitalistico dell’ultimo movimento.
Un discorso analogo riguarda anche l’interpretazione della Quinta sinfonia. Qui, nonostante la rinuncia a tempi serrati, la coesione dell’orchestra è forse ancora maggiore ed il lavoro di scavo sulla partitura è di eccellente fattura. Il celeberrimo tema del “destino che bussa alla porta” si manifesta con autorità ma non con violenza; c’è dramma ma non disperazione in questa parabola che termina con il riscatto dell’uomo. Masur, ancora più che nella Sesta rinuncia ad ogni sovrastruttura romantica che possa descrivere, ma forse per certi versi anche appesantire, e quindi compromettere una lettura che al contrario riporta Beethoven alla sua dimensione di “ultimo dei classici”. Linearità, e trasparenza, sono le caratteristiche di questa Quinta, esaltate da un’orchestra che si presenta in una forma smagliante e che, come già è accaduto nelle due precedenti esibizioni al “Settembre”, sa coinvolgere il pubblico del Filarmonico che ricambia con calore ed entusiasmo.

Davide Cornacchione 23 settembre 2008