Una traviata in chiave decadente inaugura la stagione estiva dell’Arena di Verona
Il nuovo allestimento di Traviata, firmato da Hugo de Ana, che ha inaugurato la nuova stagione estiva areniana ha avuto il compito di riportare il capolavoro verdiano nel solco della tradizione dopo gli “eccessi” della precedente edizione firmata Graham Vick.
Il regista argentino, come di consueto anche scenografo e costumista, ha scelto di rappresentare la vicenda di Violetta Valery in chiave decadente, come se tutta l’opera fosse in realtà un lungo “addio del passato” della protagonista, della cui vita ormai restavano solo gli aspetti esteriori.
La scenografia era infatti costituita da una serie di cornici vuote da cui presumibilmente erano state staccate le tele che si vedevano svolazzare insieme ad alcuni ritagli di giornale all’inizio del primo atto. Ormai di Violetta era rimasta solo l’apparenza, la vacuità, l’effimero, il ricordo e, forse, il rimpianto.
Lo spettacolo, partendo da questi presupposti si muoveva su binari tradizionali che, a parte alcune scelte registiche riconducibili ad un gusto verista, scorreva senza particolari sussulti. E questo è forse stato il limite principale di questa nuova produzione: una regia tradizionalmente composta, una scenografia curata in ogni dettaglio, e un notevole sfarzo nei costumi non sono stati sufficienti a creare quell’alchimia che trasforma un buon allestimento in uno spettacolo che lascia il segno. L’idea delle cornici intese come spazio vuoto di un qualcosa che non c’è più, la rappresentazione di una società dura, spietata ed insensibile, il senso di progressiva caduta verso l’abisso erano sicuramente soluzioni interessanti, che però probabilmente non sono state sviluppate nella misura adeguata.
Anche dal punto di vista musicale il risultato è stato alterno: Ermonela Jaho non ha ancora le caratteristiche per essere una convincente Violetta. Se ad un primo atto vocalmente abbastanza interlocutorio hanno fatto seguito un secondo ed un terzo decisamente più a fuoco, l’interpretazione spesso lasciava spazio ad eccessi ed esagerazioni (risate, colpi di tosse) che poco o nulla hanno a che fare con questo repertorio.
Francesco Demuro nel ruolo di Alfredo ha invece sfoggiato timbro squillante e facilità nel salire alle note acute. L’interprete deve ancora affinarsi ma lo strumento è senza dubbio interessante.
Solida la prova di Vladimir Stojanov nel ruolo di Giorgio Germont nonostante sia sembrato meno in forma rispetto ad altre occasioni.
Deludente invece è stata la prova di Julian Kovatchev alla testa dell’orchestra dell’Arena di Verona: la sua traviata è stata caratterizzata da tempi lenti ed una direzione piatta ed incolore.
Adeguata la prova del coro e degli altri interpreti anche se il tutto rientrava nell’ambito di quella educata compostezza che non è riuscita a far scattare la scintilla in grado di riscaldare il clima generale.
Davide Cornacchione 2 luglio 2011