Recensioni - Cultura e musica

L’elisir d’Amore al presepio

Edizione un po' retrò del capolavoro di Donizetti al Teatro Filarmonico

La fondazione lirica Arena di Verona conclude la stagione d’opera al Teatro Filarmonico con L’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti. Si tratta della ripresa di uno spettacolo già andato in scena nel 2003, regia Riccardo Canessa, Scene Poppi Ronchetti e costumi di Artemio Cabassi.

L’elisir d’Amore è titolo assai noto ed ha attirato un discreto pubblico al Teatro Filarmonico. L’opera nel suo insieme è risultata abbastanza godibile, anche se l’allestimento risente di una impostazione datata che il regista non è riuscito a vivacizzare intervenendo sulla recitazione dei cantanti. La scena, fissa per i due atti, rappresenta un presepio napoletano con magistrale fedeltà di particolari, tuttavia nell’impatto generale prevale il kitsch e sembra veramente di essere tornati ad una rappresentazione ottocentesca dell’Elisir. Il regista muove il coro a volte a mo’ di marionette, idea simpatica ma ripetitiva, mentre la recitazione degli interpreti è abbastanza generica e non sembra  sia stato fatto un gran lavoro sull’insieme. Se pensiamo che questo è un melodramma buffo e che dovrebbe far ridere almeno qua e là,  da questo punto di vista il risultato è davvero modesto. Il resto è bozzettismo con tanto di statuine ferme sullo sfondo.

La direzione orchestrale affidata a  Luciano Acocella ha staccato tempi troppo lunghi, al punto che a volte sembrava di ascoltare un dramma anziché un melodramma giocoso. Le pause troppo prolungate fra un pezzo chiuso e l’altro rompevano l’unità scenica appesantendo ancora di più la resa d’insieme dell’opera. L’orchestra non ha brillato limitandosi ad accompagnare i cantanti.

La compagnia di canto aveva un discreto livello medio senza però nessuno che brillasse per linea di canto, verve o presenza scenica. Cinzia Forte, interprete di Adina, canta in modo corretto ma impersonale, lo stesso dicasi di Francesco Demuro, Nemorino,  che abbiamo trovato abbastanza generico nell’interpretazione. Si possono cantare le note anche in modo corretto, ma interpretare un personaggio a teatro è un’altra cosa. Vincenzo Taormina è simpatico e ha provato a caratterizzare il personaggio di Belcore ottenendo però risultati alterni: la sua linea di canto è stata corretta e di buon volume. Carlo Lepore infine è stato l’interprete più completo come Dulcamara, unendo una voce piena e un fraseggio vario ad un’interpretazione abbastanza convincente. Certo la regia generica e non particolarmente ispirata di Riccardo Canessa non ha sicuramente aiutato l’interpreti.

Applausi convinti a fine serata da parte del pubblico.

Raffaello Malesci (24/04/09)