Recensioni - Cultura e musica

La “Forza” al cinema

Taglio cinematografico per la Forza del destino che ha inaugurato la stagione 2015/16 al Teatro Filarmonico

A 15 anni dalla sua ultima rappresentazione veronese, che diventano 90 se ci si riferisce al Teatro Filarmonico, la Forza del destino di Giuseppe Verdi ha sfarzosamente inaugurato la stagione invernale della Fondazione Arena.
Lo spettacolo, Firmato da Pier Francesco Maestrini, proveniente da Maribor, risolve in chiave cinematografica l’ampio affresco popolare musicato dal genio bussetano.

La Forza del destino non è opera semplice da allestire, sia per la sua apparente discontinuità dal punto di vista drammaturgico, dovuta alle continue digressioni rispetto alla vicenda principale, sia per l’impegnativo cast richiesto. Infatti questo è probabilmente il titolo verdiano in cui i cosiddetti comprimari non possono essere liquidati come tali, visto che anche figure minori quali Preziosilla, Melitone e lo stesso Trabuco sono protagonisti in più di un’occasione.
Data inoltre la  natura di affresco storico nel quale la lente d’ingrandimento viene qua e là indirizzata verso vicende apparentemente minori, non va dimenticato il fondamentale apporto del coro che partecipa alle numerose scene di massa.
Maestrini riece a raccontare in modo efficace questo complesso (e a volte farraginoso) romanzo popolare, avvalendosi di un suggestivo progetto scenografico firmato da Juan Guillermo Nova che grazie all’uso di proiezioni e quinte mobili crea una notevole varietà di ambienti, alcuni visivamente molto suggestivi, quali ad esempio il convento del secondo atto e la battaglia del terzo. D’altro canto la regia invece, probabilmente per evitare di aggiungere ulteriori sovrastrutture ad una trama già di suo non linearissima, si mantiene nel solco della più rassicurante tradizione melodrammatica, limitandosi a comporre degli efficaci tableaux vivants ma rinunciando a qualsiasi approfondimento psicologico. Il risultato è comunque di uno spettacolo scorrevole ed efficace durante il quale non si registrano mai cadute di tensione.
Unico neo la scelta, a mio avviso infelice, di far iniziare l’opera con il primo atto utilizzando l’ouverture come colonna sonora per un discutibile filmato proiettato tra il primo e secondo atto. È vero che dal punto di vista musicale quest’usanza può vantare dei padri illustri, Mitropulos in primis, ma il rispetto del dettato verdiano è soluzione di gran lunga più efficace.
Dal punto di vista musicale la serata ha visto in Omer Mei Wellber un concertatore efficace, che ha saputo dipanare egregiamente l’intricata partitura, staccando tempi nervosi e puntando molto sul versante drammatico dell’opera, a discapito di quello più lirico che comunque ha la sua importanza.
La Leonora di Hui He si è distinta per timbro suadente e  grande ricchezza espressiva. Un leggero affaticamento vocale non ha comunque compromesso l’ottima resa del personaggio.
Al contrario Walter Fraccaro è stato un Alvaro ruvido, poco sfumato, dal grande volume ma avaro nel fraseggio, non a caso i suoi passaggi più lirici, scena della barella in primis, sono risultati i più penalizzati.
Decisamente più efficace la coppia di baritoni che ha visto in Dalibor Jenis un Carlo dal timbro sicuro e dal fraseggio nobile e in Gezym Myshketa un Melitone efficace nell’interpretazione e ottimamente cantato.
Simon Lim nel ruolo del Padre guardiano si è distinto per una buona linea di canto, soprattutto nel registro centrale, denotando forse qualche lacuna nel settore più grave.
Da segnalare anche l’efficace Preziosilla di Chiara Amarù ed il Trabuco di Francesco Pittari.
Buona la prova del coro diretto da Vito Lombardi.
Al termine applausi calorosissimi da parte di un Teatro Filarmonico esaurito in ogni ordine di posti.

Davide Cornacchione  13 dicembre 2015