Recensioni - Cultura e musica

La Recherche proustiana di Pavel Kolesnikov

Il giovane pianista in un magico concerto al Festival International de Piano de La Roque d’Anthéron

Prima che il mondo musicale ne riconoscesse la levatura di una tra le personalità più interessanti e sfaccettate della sua generazione, il nome di Pavel Kolesnikov era da noi già intriso di leggenda. A Casalmaggiore, negli anni d’oro del Festival, la sua presenza di elfo capace, una volta al pianoforte, di spalancare universi sonori strabilianti, aveva catturato l’attenzione di un pubblico di irriducibili, e la simpatia di un’intera città. Memorabili sono rimaste le sue apparizioni, prima giovanissimo allievo alle master class del Festival, poi acclamato ospite speciale di tante serate di altissima musica. L’ultima lo scorso autunno, in Teatro Comunale: un concerto offerto agli amici italiani, a partire da Cina e Massimo Araldi, anime del Festival e suoi appassionati sostenitori.

Oggi Kolesnikov è poco più che trentenne; ma soprattutto è artista di immensa intelligenza, voce appartata di un pianismo torrenziale e mai roboante, smarginatamente fantasioso, acuto, insinuante. Il pubblico che, lo scorso 4 agosto, riempiva la tribuna dell’Auditorium du Parc de Florans, in una delle serate di punta del Festival International de Piano de La Roque d’Anthéron, nel cuore della Provenza, si è trovato catapultato di colpo nelle atmosfere flou di un salon fin de siècle, in un recital cucito dal pianista siberiano con miniaturistica grazia e dedicato a Marcel Proust. Pagine come fogli d’album da staccare e riannodare, fili di memoria esili e pungenti come stilettate, sul filo struggente di un viaggio à rebours apertosi con lo Schubert della Sonata D 854, con la sua bellezza sfinita, punteggiata da barbagli di luce e da accenti di nera disperazione, prima di cedere ad un ultimo, struggente giro di valzer, all’affiorare del secondo tema. Un solo movimento posto a sipario, gli altri tre in chiusura, quasi ad abbracciare un itinerario sentimentale che toccava, a spasso nel tempo, i luoghi di una personalissima Recherche: lo spirito, anch’esso inquieto e immaginifico, di Louis Couperin, i suoi geniali tormenti protobarocchi qui srotolati su un pianoforte che si faceva voliera, le atmosfere acquatiche e suadenti di Reynaldo Hahn, straordinaria figura dal multiforme ingegno nella Francia tra i due secoli, fil rouge, in questa narrazione, attraverso pagine attraversate da una sensualità capricciosa e tediata. A contrappuntare questa rêverie, il ritorno, un po’ carillon un po’ straniante richiamo alla realtà, di Schubert, questa volta con danze dal sapore bonario ed amabilmente chiassoso, brevi oasi di spensieratezza in un’esistenza buia.

Un gioco di specchi, di mondi tenuti insieme da relazioni segrete, ora tonali ora più sottilmente letterarie, comunque ardite, che ad un tratto inciampavano di fronte al trittico vertiginoso del Preludio, Corale e Fuga di César Franck, cattedrale fiammeggiante con la sua polifonia accesa, luogo penitenza con il suo contrappunto severo.  Il pubblico solitamente rumoroso dell’Auditorium, tratteneva il fiato. Nessun applauso, se non, liberatorio, alla fine, dopo due ore di musica e silenzio. “La musica è il silenzio tra le note”, diceva Debussy.