
Con l'orchestra dell'Accademia del Teatro alla Scala diretta da Fabio Luisi
È risuonato nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca il canonico Concerto sinfonico caratterizzante il Festival della Valle d’Itria. Quest’anno, la scelta della direzione artistica è caduta sulla Sinfonia n. 14 di Dmitrij Šostakovič, di cui si è inteso ricordare il cinquantesimo anniversario della morte. Eseguita in prima assoluta nel 1969, a Leningrado, la Sinfonia fu ripresa l’anno successivo al Festival Aldeburgh con la direzione di Benjamin Britten, dedicatario, peraltro dell’opera. Ricordiamo che del massimo compositore britannico, il Festival, in questa 51esima edizione, ha programmato in prima assoluta nazionale l’opera Owen Wingrave, tessendo, pertanto, un fil rouge con la Sinfonia. Almeno due, dunque, le ragioni di tale scelta, plaudita o meno dal pubblico al termine del concerto.
La composizione è molto più simile ad una cantata che ad una sinfonia; non è di facile ascolto per chi poco intende compenetrarsi nella sofferenza e nel dolore umano e mal accetta la morte come evento ineluttabile della vita umana. Il tenebroso tema della “morte” pervade tutta la pagina sinfonica, legandosi ad aspetti e momenti vari della vita come immagine niente affatto consolatrice o liberatoria, ovvero come un incubo. L’ossessionante pensiero del finis vitae, come brusco e improvviso trapasso dell’uomo verso il “nulla”, è presente sia nella cupa e tenebrosa Sinfonia n. 14 di Šostakovič, sia in altre sue composizioni, a cominciare da quelle giovanili, quali la Marcia funebre e Danza della morte, negli Aforismi, op.12 per pianoforte, per non tacere di quelle più tardive come la Settima Sinfonia.
L’organico comprende diciannove archi, sei percussioni e una celesta; di fatto un’orchestra da camera come fu quella di Mosca, diretta da Rudolf Barshai, per la quale la Sinfonia fu appositamente creata.
La musica sostiene il canto, ora mesto e melanconico, ora tragico, dolente e gridato, composto per voce di soprano e di basso su poesie di García Lorca, Rainer Maria Rilke, Guillaume Apollinarie, Wilhelm Küchelbecker, tradotte in lingua russa e intrise di un forte messaggio di protesta contro la prepotenza, la tirannia, la violenza e l’ingiustizia nelle sue varie forme.
I testi poetici sono giustapposti come in un racconto ad episodi i cui personaggi sono travolti dalla morte, anche dell’anima: per suicidio, come soluzione finale di un tragico amore, per naufragio, come per i naviganti incantati dal soave canto della bella Lorelei, o per crudele destino, come quello di un prigioniero condannato all’isolamento, su cui pesa una pietra tombale.
Il materiale musicale è ricco e vario, a cominciare dalla sequenza medievale Dies irae, utilizzata da Šostakovič nel De Profundis iniziale e a fine partitura, alla stregua di un Berlioz che la tratta, tuttavia, con toni parodistici e burleschi nel quinto movimento della Symphonie fantastique, Songe d'une nuit du sabba.
Tra i ritmi spagnoli di una Malagueña, concertata in dialogo tra violini e contrabbassi, e una marcetta dodecafonica scandita da xilofono e tom tom, tra i suoni “alla chitarra” degli archi e i secchi schiocchi di frusta e castagnette, monologhi e duetti tra soprano e basso si espandono alternativamente con melodie dai tratti atonali e dissonanti ammiccando ora a un recitativo, ora a un’aria di bravura e a una tradizionale romanza. E attraverso un sarcastico riso di donna e un urlo parossistico, le voci, sorrette da aspri cluster e poche frasi scritte da Rilke, giungono a Conclusione interrompendosi bruscamente all’apice di un incalzante crescendo degli archi, cui segue un sepolcrale e inesorabile silenzio, quale metafora della morte, onnipotente e onnipresente, che “brama e urla” anche quando la felicità sembra sussistere.
Splendida è l’esecuzione della Sinfonia da parte degli interpreti, a cominciare dai solisti, simbioticamente e profondamente immersi nel carattere e significato dei testi.
Lidia Fridman, perfezionatasi pochi anni fa all’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, dispiega una voce corposa, rotonda e ben proiettata per la sua intera tessitura da soprano drammatico, facendosi apprezzare anche per l’estensione e l’agilità vocale.
Profonda e pienamente risonante è la calda vocalità da basso di Adolfo Corrado, già applaudito al Festival nel ruolo di “Orbazzano” per il Tancredi di Rossini.
Ottima è la resa dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, composta da giovani e bravi musicisti guidati nell’approfondimento del repertorio operistico e sinfonico dalle Prime parti dell’Orchestra del Teatro alla Scala e dai più rinomati direttori dell’attuale panorama musicale. Si segnala l’intensa ed espressiva interpretazione dell’assolo di violoncello nell’ Adagio “Il suicida”.
La compagine orchestrale è sapientemente guidata da Fabio Luisi, direttore delle orchestre più prestigiose del mondo, pluripremiato con Medaglia d’Oro, anello d’Oro, dedicati a Bruckner e con Grammy Award. Con le sue esperte mani, mosse da una chiara e precisa tecnica gestuale, Luisi restituisce una lettura della partitura sinfonica equilibrata in ogni aspetto interpretativo e parametro musicale.
A conclusione della Sinfonia, nel “sospeso silenzio” generato dall’improvvisa interruzione della musica, prendono man mano vita calorosi e lunghi applausi del pubblico.