Recensioni - Cultura e musica

Leonardo Zunica in un recital dal raffinatissimo impaginato

Beethoven, Liszt, Ligeti, Dallapiccola tra gli autori eseguiti nella sala Isabella D'Este del liceo musicale di Mantova

Una promenade, sul filo della sinestesia tra musica e colore. Colore inteso non come mera manifestazione cromatica ma, più sottilmente, come affermazione dello spirito, esplicitazione di un’identità profonda, segreto rimando a verità più riposte, difficilmente afferrabili con uno sguardo di superficie. Sulle tracce di quest’eterna relazione, Leonardo Zunica ha offerto, lo scorso sabato 6 aprile, a Mantova, nella Sala Isabella d’Este dell’omonimo Liceo Musicale, un affascinante itinerario esemplare, in un recital pianistico di forte pregnanza che, già nell’impaginato, ben raccontava di una personalità, quella dell’interprete mantovano, da sempre votata alla ricerca mai scontata, all’indagine sottotraccia, nel tentativo di cogliere, della musica, le sottigliezze, più che le evidenze. Un viaggio apertosi sulla cappa opprimente di Nuages gris, pagina enigmatica di un Liszt inoltrato e quasi irriconoscibile, nell’ormai inevitabile disgregazione delle costellazioni tonali, a cui l’accostamento ravvicinato dello Studio Arc en ciel del conterraneo Ligeti, ma soprattutto della Sonata op.53 di Beethoven, nel terso, fiducioso Do maggiore del suo sorgere, dalle nebbie di una strumentalità mai prima d’ora così liquida e sinfonica, fino a farsi abbagliante scia luminosa, nell’ardita conclusione annunciata dal lungo trillo, regalava inedite prospettive verso il tempo a venire. Quella, ad esempio, di Colore - squisito frammento tratto dal Quaderno di Annalibera di Dallapiccola, nonché chiave di lettura del percorso di ascolto -, ma soprattutto quelle che Messiaen raccoglierà nei Petites esquisses des oiseaux. Qui il colore si fondeva in un totalizzante respiro con il suono, così come il canto degli uccelli, rievocato sulla cordiera, si contrappuntava a sua volta ai suoni e ai colori della natura, in una prodigiosa sintesi multisensoriale che Zunica esaltava con piena adesione. A chiudere, il ritorno all’universo beethoveniano, quello totalizzante della Sonata op.110, il tuffo nelle acque del suo conciliante La bemolle maggiore squarciato dagli improvvisi graffi di caustico umorismo e dalle dolorose implorazioni condensate nel Recitativo centrale, nell’ansa lontana, sospesa, dei la ribattuti, fino all’approdo alle marmoree, imperiose certezze della Fuga finale.  Applausi generosi e meritatissimi.