Recensioni - Cultura e musica

Libri : Vladimir Nabokov, Lolita, Adelphi.

Lolita o del resoconto di una passione Dopo il film di Stanley Kubrick e quello di Adrian Lyne, tocca a Luca Ronconi cimentars...

Lolita o del resoconto di una passione

Dopo il film di Stanley Kubrick e quello di Adrian Lyne, tocca a Luca Ronconi cimentarsi, in questi giorni, con la messa in scena, al Piccolo Teatro di Milano, del capolavoro nabokoviano Lolita.

In occasione di questo avvenimento riproponiamo la lettura di un classico della letteratura del dopoguerra, con l’aiuto del numero monografico della rivista Riga, che due anni fa Marcos y Marcos ha dedicato al centenario della nascita di Vladimir Nabokov.

Nabokov scrive Lolita all’inizio degli anni ’50 durante le sue vacanze, andando a caccia di farfalle con la moglie Vera e girando in automobile l’America delle autostrade e degli infiniti motel. Come nel romanzo il personaggio di Dolores Haze ha un precedente nell’Annabel dell’infanzia del protagonista, così il romanzo Lolita ha avuto una "prima stesura" nel racconto L’incantatore scritto da VN in russo a Parigi alla fine degli anni ’30.

Lolita esce per la prima volta a Parigi per la casa editrice pornografica Olympia-Press portando l’autore, alla fine degli anni ’50, al successo internazionale.

Il libro, come è noto, è il resoconto di una drammatica ossessione che non può che preludere alla caduta e alla violenza; ma, in effetti, un tema tragico che potrebbe ben richiamare il brano soppresso dei Demoni di Dostoevskij su Stavrogin e la bambina, è mescolato, da una sapiente scrittura parodistica, all’umoristico e al grottesco.

Soprattutto i due protagonisti, come scrisse Alberto Arbasino, sono indimenticabili: "un grosso cervello ossessionato da una sola mania fissa, e una figurina vivissima che gioca a tennis e mangia gelati e salta sui letti, ma che cosa pensa, nessuno lo sa."

Qualcuno ha letto nel romanzo il tema della vecchia Europa che travia la giovane America (o viceversa); qualcun altro un trattato sulla relazione amorosa che intercorre tra l’autore e la lingua inglese.

Si potrebbe anche arrivare a giudicare il libro come il caso clinico di un "anormale", allineandosi sulla posizione che, nella prefazione che fa da cornice al romanzo, sostiene il dott. John Ray.

Ma a noi piace pensarlo come l’insuperabile resoconto di una passione che, come scrive Gabriel Josipovici, dal centro di una "spirale infernale" fa emergere alla fine nel protagonista una virtù di cui prima era privo, la "capacità di amare": "Insisto " scrive Humbert Humbert - perché il mondo sappia quanto amavo la mia Lolita, quella Lolita, pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro, ma sempre con gli occhi grigi, sempre con le sopracciglia fuligginose, sempre castano e mandorla, sempre Carmencita, sempre mia."