Recensioni - Cultura e musica

Libri: Il giovane Arnold Schönberg

Un saggio di Alessandro Maria Carnelli che indaga sui primi anni viennesi del compositore 

La Vienna di inizi XX secolo, con i suoi tanti fermenti e le sue tantissime contraddizioni, è un luogo in cui, da anni, Alessandro Maria Carnelli si muove con l’intima confidenza di chi ne ha fatto una casa dello spirito, luogo nelle cui stanze sono davvero pochi i segreti a lui ancora intatti. Sotto la lente di precisione del compositore e musicologo novarese, le grandi strade di foggia imperiale altro non sono che i punti di raccordo di un più interessante reticolo sotteso, tra vie minori e passaggi semisconosciuti, capace di rivelare, in filigrana, l’essenza decisiva di un dettaglio, la chiave d’accesso ad una verità. Come a dire che sono proprio i particolari - aneddoti, brevi fatti di cronaca, lampi catturati da poche parole tra le righe di una lettera - a comporre e a determinare l’affresco nel suo complesso.

“Niente di moderno” è un libriccino che, se non fai attenzione, rischi di divorare in un paio d’ore, bruciando di fatto un patrimonio che solo nella sedimentazione, nella riflessione e, quindi, nella lettura lenta, meditata, si svela appieno: l’eleganza del suo passo narrativo, la calviniana leggerezza del suo impianto – l’organizzazione per tessere singole, capitoli a tema di due paginette ciascuno che solo nel corso della lettura consentiranno di comporre, progressivamente, il puzzle – lo scorcio coraggioso dell’angolazione sono una trappola perfetta in cui, senza accorgersi, si finisce per cadere. Solo una volta entrati, quasi per gioco, quello che all’apparenza figura come una rosa di miniature svela tutta la sua sfaccettata, insidiosa profondità, di segno inversamente proporzionale alla brevità. Al centro del quadro, una città, scandagliata per indizi, per richiami, a spasso nella geografia e nella storia; e, al centro di questa città, un uomo, seguito da vicino, a qualche passo di rispettosa distanza ma abbastanza in prossimità per coglierne i pensieri i gesti compiuti e mancati, le intenzioni.

Quell’uomo è Arnold Schönberg, capostipite di quel terremoto nella musica che sancirà la definitiva lacerazione con il mondo del passato. Lo sguardo di Carnelli – affilato ma affettuoso, rigoroso quanto empatico, acuto senza autocompiacimento – ne accompagna il primo tratto della biografia, fino al fatidico 1908, ovvero alle ultime pagine della prima stagione creativa che, di fatto, sanciscono il tempestoso spartiacque tra un prima e un dopo. Ne segue l’infanzia, l’affiorare di un talento impetuoso a cui mancherà sempre l’argine di un Maestro, la viscerale dedizione alla composizione attinta al maniacale studio dei modelli: Beethoven e Brahms su tutti, fino all’inevitabile confronto con il gigante mahleriano. Assiste alle sue frequentazioni, vigila sulla gestazione delle prime opere e scruta le reazioni del pubblico e della critica alle prime rappresentazioni. Verklἅrte Nacht, i primi due Quartetti, la Kammersymphonie. Più in lontananza, l’officina creativa del Lied, nell’ineludibile rapporto con la poesia e con i sommi liederisti del passato e del presente. Come a voler cogliere, non da sopra ma dall’interno, i segnali del cambiamento, i semi del passaggio. Un ritratto a luce naturale, a catturare quelle sfumature di illuminante essenzialità scaturite da una serie infinita di fotogrammi raccolti e montati nel tempo, grazie ad un lavoro di ricerca decennale fatto di letture, progetti esecutivi, incisioni discografiche, pubblicazioni.

Magnifico quel Pierrot Lunaire ascoltato in un’edizione di qualche anno fa del Festival Trame Sonore in forma scenica, scavato fino a rivelarne le corde di una natura lirica e sofferta; così come l’ampio progetto dedicato alla genesi di Verklärte Nacht e la prima monografia in assoluto sull'argomento, culminato in un cd registrato proprio con l’OCM. E magnifico il mosaico di ritratti a doppio filo – un autore, un interprete - raccolto nella pubblicazione Amata e lontana, in cui è proprio Carnelli ad introdurre alla figura schonberghiana. Un rapporto, quello con Schὂnberg ma, più in generale, con la temperie viennese e mitteleuropea, maturato nel grandangolo di una prospettiva sempre dilatata, nell’interconnessione tra il dato squisitamente costruttivo-musicale e più ampie istanze poetiche ed estetiche, di un contesto mai inteso come pura cornice, di una polifonia di voci che intrecciano vivi e morti, amici e allievi, sodali e figure venerate e inavvicinabili, come quella brahmsiana. Squarci, li definisce lo stesso Carnelli, capaci di far luce, con il loro nitido bagliore, su una personalità e su un mondo che da Vienna allarga gli orizzonti all’Europa tutta, in quell’ultimo istante che precede (e che annuncia) il tracollo. 

Alessandro Maria Carnelli
Niente di moderno

Rubettino