Recensioni - Cultura e musica

Lo spirito romantico di Tancredi tra amore, morte e patria

Il finale del capolavoro rossiniano, scritto dal conte Lechi, finalmente rappresentato anche a Brescia

L'ultimo titolo della stagione 2013 al teatro Grande è stato il Tancredi di Gioacchino Rossini  programmato per il 13 e 15 dicembre. L’opera debuttò esattamente duecento anni fa alla Fenice di Venezia, quando il compositore era ancora ventunenne e allora si concluse con il classico lieto fine tipico dell’opera buffa o semiseria cui Rossini era già affermato compositore. Ad un certo punto della sua messa in scena, però il successo del Tancredi richiamò l’interesse di alcuni uomini di cultura che spinsero il librettista, Gaetano Rossi, affinché il finale dell’opera coincidesse filologicamente con quello del testo scritto da Voltaire e da quale era stata tratta la vicenda. Il finale tragico, scritto solo un mese dopo il debutto, risultò anche più moderno e vicino allo spirito romantico che avvolge in un’unica nube amore, morte e patria, complice anche la lettura dei Sepolcri del Foscolo.

Sebbene l’opera non sia mai stata rappresentata a Brescia, il finale che abbiamo visto in scena domenica, è stato scritto proprio da un bresciano, il conte Luigi Lechi, amico del poeta Cesare Arici che probabilmente gli avrà presentato di persona Foscolo o, quanto meno, gli avrà fatto conoscere ed apprezzare i suoi versi.
Il legame speciale che Brescia ha con il Tancredi tragico, si deve all’ispirazione romantica del conte Lechi per il contralto Adelaide Malanotte, che, oltre ad essere la sua “musa ispiratrice”, era anche la sua compagna di vita. Nelle repliche di Ferrara, il finale tragico non piacque gran che e negli anni seguenti l’opera scomparve quasi completamente dalle scene in seguito all’affermarsi di un nuovo gusto teatrale, facendo sopravvivere solo la cabaletta “Di tanti palpiti”. Negli anni ’70, il musicologo statunitense Philip Gossett riscoprì il finale tragico del Tancredi negli archivi della famiglia Lechi e la partitura musicale venne in un certo senso riscoperta dal pubblico e dai teatri più raffinati. In realtà la critica moderna preferisce di gran lunga questo secondo finale tragico che Rossini orchestrò e riscrisse con grande maestria facendo del maestro pesarese uno dei più moderni ed affermati compositori del primo Ottocento.
Il cast dei cantanti è stato scelto, come per le altre opere, tra i giovani vincitori dell'annuale Concorso dell'As.Li.Co. Nella replica di domenica pomeriggio il ruolo di Tancredi, en travesti, è stato sostenuto da Raffaella Lupinacci , mentre Teresa Iervolino ha cantato la partitura del personaggio di Isaura fornendo davvero un’ottima prova, anche se talvolta poco incisiva negli acuti. Sophia Mchedlishvili, nel ruolo di Amenaide, ha sostenuto una parte molto difficile, ma complessivamente è riuscita bene, soprattutto negli abbellimenti tipici del bel canto. Il basso Alessandro Spina ha vestito i panni di Orbazzano riuscendo pienamente per quel che riguarda l’intonazione della voce, un po’ meno invece per la resa drammaturgico-recitativa legata al personaggio.
La regia dello spettacolo, eccessiva come solo lo spirito meridionale riesce ad essere, è stata firmata da Francesco Frongia, un giovane regista, ma anche noto videoartista, che ha trasportato l’azione scenica in una Sicilia davvero folkloristica: contadini armati di forconi,  notabili con bombetta, il carretto siciliano dipinto, il teatrino di pupi, il matrimonio con abiti regionali e la processione della Vergine portata sulle spalle dagli incappucciati e le mille lucine che ci hanno calato per un istante già nell’atmosfera natalizia.
Davvero lenta, ed è stato proprio un peccato, la direzione del maestro Francesco Cilluffo che ha reso la scena statica e talvolta pesante. Bravi i cantati del Coro istruito da Diego Maccagnola.

Sonia Baccinelli  15 dicembre 2013