Recensioni - Cultura e musica

Lunga vita alla Regina

Trionfa Mariella Devia nel Roberto Devereux al Teatro Regio

Seconda tappa del progetto legato alla trilogia Tudor firmata da Alfonso Antoniozzi, Roberto Devereux di Gaetano Donizetti segue l’Anna Bolena del 2017 e torna al Teatro Regio 178 anni dopo la sua unica esecuzione a Parma.


Quest’opera, probabilmente la meno eseguita dei tre titoli donizettiani legati alla dinastia inglese, oltre a raccontare dell’infelice amore della Regina Elisabetta nei confronti del Duca di Essex, mostra anche il lato più umano della sovrana, sola sia negli affetti che nella gestione del potere all’interno di una corte chiusa ed arroccata nelle sue posizioni.
La scenografia di Monica Manganelli coglie bene questo senso di claustrofobica solitudine. L’azione si svolge prevalentemente sopra una pedana semicircolare, in uno spazio delimitato da cancellate di foggia tardo gotica che amplificano l’idea di carcere, quasi la stessa regina fosse prigioniera del suo ruolo ed incapace di relazionarsi con gli altri. Sensazione amplificata dalla scelta di far indossare a tutti i coristi una maschera che, uniformandoli a figure quasi astratte, ne aumenta il distacco con la sovrana.
La regia di Antoniozzi interpreta l’esercizio del potere come una recita, utilizzando la chiave di lettura del teatro nel teatro, durante la quale capita che il trono regale venga occupato dal buffone, a sottolinearne la vacuità. I cambi scena vengono effettuati a vista ed anche alcune sequenze legate alla vestizione di Elisabetta negli sfarzosi costumi cinquecenteschi firmati da Gianluca Falaschi avvengono sulla scena. La finzione viene amplificata nel finale quando calano dall’alto le americane che sorreggono i fari a svelare completamente la macchina scenica.
Per il resto lo spettacolo si dipana in modo sostanzialmente tradizionale, mantenendosi nel solco di una classicità che, se da una parte non offre spunti particolarmente originali dall’altra confeziona un allestimento nel complesso godibile e che appaga l’occhio degli spettatori.

Vero motivo di interesse di questa produzione è però il cast, dominato da due interpreti di prima grandezza.
Mariella Devia nel ruolo di Elisabetta ostenta una tecnica ed una freschezza vocale straordinarie. Se il registro grave a volte suona un po’ opaco i centri sono ancora solidi e gli acuti nulla hanno perso dello smalto e della lucentezza che li caratterizza. Il fraseggio è estremamente vario e le permette delineare i complessi e variegati stati d’animo della Regina vergine di cui delinea un ritratto perfettamente compiuto, complice anche un carisma ed un dominio di palcoscenico da grande interprete.
Al suo fianco spicca la Sara di una magnifica Sonia Ganassi. La cantante sfoggia un timbro pieno e corposo che le consente di risolvere con gran disinvoltura le non facili agilità del ruolo e di immedesimarsi perfettamente nella complessa figura di confidente-moglie-amante.
Stefan Pop, nel ruolo del titolo, sembra molto più a suo agio in questo repertorio rispetto al recente Rigoletto ascoltato sempre qui a Parma. La voce è generosa ed il timbro è solido e squillante. La sua interpretazione cresce in corso di recita per raggiungere l’apice nell’aria del terzo atto.
Sergio Vitale è un Duca di Nottingham dal timbro robusto, soprattutto nel registro centrale. La sua interpretazione spicca nei momenti più lirici, dove si dimostra efficace fraseggiatore, mentre gli acuti non sempre sono perfettamente a fuoco.
Efficace il Lord Cecil di Matteo Mezzaro, mentre non sempre convince Ugo Guagliardo nel ruolo di Sir Gualtero Raleigh.

Sebastiano Rolli dirige con solido professionismo l’Orchestra dell’Opera Italiana ed il coro del Teatro Regio come sempre ottimamente preparato da Martini Faggiani.
Al termine applausi trionfali e ovazioni per tutto il cast con ripetute chiamate alla ribalta per Mariella Devia.
 

Davide Cornacchione 25/03/2018