Recensioni - Cultura e musica

Mahler e Brahms: due facce della stessa medaglia

Das Knaben Wundenhorn e la seconda sinfonia in una trascinante esecuzione diretta da Johannes Debus 

Il velo squarciato. Dopo aver gettato lo sguardo nel fitto del mondo mahleriano, nel suo bosco oscuro, nei continui, ossessivi barbagli in cui tragedia e farsa, triviale e sublime sembrano grottesche facce di un’unica sfigurata medaglia, nulla è come prima. Lo scorso venerdì 10 marzo, all’Auditorium Paganini di Parma, era un programma di vertiginosa bellezza a costringere l’ascoltatore ad un avvincente quanto pericoloso cammino a ritroso.

Dapprima, attraverso le tredici stazioni di Des Knaben Wunderhorn, damasco che Mahler intreccia sulle liriche di von Arnim e Brentano consegnando, di fatto, alla storia il manifesto forse più nitidamente ispirato dell’immaginario mitteleuropeo. Piccole storie senza morale, fluttuanti nell’eterna periferia del mondo, animate da personaggi senza qualità. Mondi perfetti in cui smarrirsi, vagare senza meta, perdere la bussola della propria vita. Mondi percorsi da vagabondi, santi e peccatori, fanciulle sempliciotte, osti rudi, animali pensanti, capaci di discernere il bene dal male, in un canto tutto sguaiate onomatopee e dolorosa confessione. Ma soprattutto, un mondo di soldati. Sentinelle, reclute, prigionieri. La trama orchestrale che Mahler dissemina in questo ciclo che, probabilmente, come nessun altro rappresenta per lui il laboratorio in cui sperimentare e depositare materiali, è un tessuto di abissale, cangiante bellezza; una bellezza aspra, illusoria, immensamente nostalgica, di una nostalgia senza più illusioni. A cantarne le multiformi corde dell’amarezza, della perdita, dell’angoscia, contrappuntate da stilettate di altrettanto pungente humor, erano le voci di Valentina Stadler e Johannes Martin Krį¼…nzle, preziosi e quanto mai acuti nel dipanare - senza mai smarrire le chiavi di quell’irrinunciabile, sottile insinuazione che preserva il suo enigma sul fondo delle acque - il filo di un racconto ad episodi, storie esemplari, miniature di un mondo antico eppure eternamente attuale, incombente, definitivo. Sorvegliato tessitore della trama, alla guida della Toscanini, era Johannes Debus, al suo debutto con la Filarmonica e da subito capace di un dialogo intenso e complice, contraddistinto da equilibrio e sobrietà di conduzione, con la compagine.

Un percorso a ritroso, dicevamo. Verso le geografie, appena precedenti, così sottilmente affini per orizzonti ed intimo sentire eppure al tempo stesso lontane, irraggiungibili una volta superato il guado mahleriano, della Seconda Sinfonia di Brahms, la più introspettiva delle quattro, non a caso denominata “la viennese” per quel suo passo esitante, allusivamente schubertiano, che ne percorre i movimenti. L’ultima cartolina da un mondo ormai sull’orlo del tracollo, ancora contenuto ma già baluginante, annunciato con incontrovertibile chiarezza nel motto di quarte discendenti che albeggiano nel quarto movimento, le stesse che Mahler prenderà a calco per disegnare il caos primigenio che accompagna la scia iniziale nella sua Prima Sinfonia. Per noi, che ne avevamo appena assistito alla dissoluzione, ogni suono, ogni trascolorare dei timbri, ogni affondo verso gli echi gravi – ora più scoperti, ora annidati nel fitto del bosco sonoro – era presagio, sussulto. Come per la sentinella mahleriana, per la quale non c’è sonno, non c’è pace.