Recensioni - Cultura e musica

Manon: dov’è lo scandalo?

Stimolante e innovativa regia di Graham Vick dell’opera pucciniana al Teatro Filarmonico, non supportata da un adeguato cast

Primo titolo operistico del 2011 al Teatro Filarmonico di Verona è stata la Manon Lescaut di Giacomo Puccini nell’allestimento di Graham Vick (regia), Andrew Hays (scene) e Kimm Kovac (costumi) coprodotto con il Teatro La Fenice, che era stato oggetto di contestazioni al suo debutto veneziano. Contestazioni che, a parte un paio di inutili “buh” rivolti ai responsabili della parte visiva, questa volta non ci sono state. Ed infatti quello proposto da Vick è un allestimento stimolante, moderno e ricco di idee (forse anche troppe, soprattutto nella prima parte) che, con estrema coerenza, ha il merito di riproporre la vicenda dell’eroina pucciniana in una chiave estremamente attuale.

Non si capisce quindi quali dovrebbero essere le scelte atte a far gridare allo scandalo: non certo l’idea principale, ovvero quella della continua caduta verso il basso dei protagonisti, rappresentata da un progressivo sprofondare nel terreno, quasi stessero scavandosi la fossa da soli. Come ormai non dovrebbero stupire più di tanto situazioni quali quella del festino di Geronte in cui una Manon-Lolita si concede con finta ingenuità mentre gli ospiti sniffano cocaina sotto lo sguardo indulgente di alcuni prelati. Al contrario, queste idee hanno contribuito a costruire un quadro tanto articolato quanto di forte presa sul pubblico, che si è risolto in momenti di grande impatto visivo quale ad esempio il bellissimo terzo atto, in cui il porto di Le Havre era rappresentato da una pedana sospesa, sopra la quale pendevano tutte le prostitute che, al momento dell’imbarco, venivano calate una ad una sino alla partenza della nave (della quale però siamo stati privati dalla solerzia di un siparista che ha pensato di far calare la tela una ventina di secondi prima del finale).
Tuttavia, se si vuole mettere in scena una Manon che abbandoni parrucche e trinoline e che racconti una crudele contemporaneità, occorre costituire un cast che sia in grado di recitare in maniera adeguata quel tipo di realtà; circostanza che purtroppo in questo caso non si è verificata, ad iniziare dai due protagonisti. Infatti se Walter Fraccaro e, soprattutto, Amarilli Nizza  hanno fornito una prova interessante dal punto di vista vocale,  non altrettanto si può dire della loro resa sul palcoscenico. Azioni e gesti appartenevano al più classico repertorio del melodramma: erotismo e sensualità, che nel secondo atto sono ingredienti fondamentali, sono rimasti relegati al rango di ipotesi. Lo stesso gesto di Geronte che incatena Manon ad un’altalena, una volta scopertala con Des Grieux, è risultato meccanico e privo di qualunque forza emotiva, come è accaduto per molte altre felici intuizioni registiche spesso scivolate via senza lasciare la dovuta impressione sul pubblico.
Sotto l’aspetto musicale va rimarcata la buona prova di Amarilli Nizza, che si è rivelata un’interessante Manon, esibendo voce duttile ed espressiva, in grado delineare in maniera completa il personaggio, anche se, probabilmente, un allestimento in chiave tradizionale le si sarebbe rivelato più congeniale. Walter Fraccaro ha voce robusta e mezzi solidi, ma il suo fraseggio si è rivelato abbastanza generico ed il difficile ruolo di Des Grieux è sembrato non essere perfettamente nelle sue corde. Interessante ma discontinuo è stato il Lescaut di Fabio Previati, vocalmente opaco è parso il Geronte di Matteo Peirone mentre efficace ed accattivante si è rivelato l’Edmondo di Saverio Fiore. Appropriata la prova del coro diretto da Giovanni Andreoli.
Il direttore Riccardo Frizza ha scelto di impostare la sua concertazione partendo dalle influenze wagneriane e straussiane che sono alla base di questa partitura, fornendone una lettura estremamente coerente e sempre attenta all’evoluzione della vicenda. Purtroppo le sonorità spesso eccessive tendevano in più occasioni a coprire i cantanti, sbilanciando gli equilibri sonori in favore dell’orchestra.
Al termine applausi convinti da parte di tutto il teatro fatto salvo per gli sparuti dissensi citati in apertura.

Davide Cornacchione 22 gennaio 2011