Recensioni - Cultura e musica

Mantova: Giovane, maturo Mozart

La pianista dodicenne Alexandra Dovgan al Teatro Bibiena in occasione della rassegna "AmaDeus ex Mantova"

10 gennaio 1770. Erano arrivati da Verona sul far della sera, Leopold ed il suo prodigioso figlio, alla ricerca di contatti utili ad intessere alleanze per imprimere una svolta alle grigie prospettive della corte salisburghese. Poi, il lungo viaggio italiano sarebbe proseguito verso Milano e quindi Bologna, questa volta con tappa lodigiana immortalata dal celebre Quartetto d’archi che ne ricorda il passaggio. Dieci densissime giornate tra musica ed incontri con l’alta società cittadina, suggellate con un clamoroso concerto nell’appena inaugurato Teatro Scientifico. La bellezza di quello scrigno ligneo dalla forma a campana, con palchetti e gallerie attorno al palco rialzato, avrebbe fatto dire a Leopold, in una lettera alla moglie, che nella sua vita non aveva mai visto niente di più bello. Esattamente 250 anni dopo, lo scorso venerdì, Mozart è tornato a Mantova; in un Teatro Bibiena stipato come solo nelle grandi occasioni, si è alzato il sipario sulla mini-rassegna “AmaDeus ex Mantova”: concerti, conferenze, una mostra da non perdere tesi a percorrere il passaggio mozartiano in città. Su quello stesso palco in cui l’“espertissimo giovanetto” aveva strabiliato, a salire è stato il talento di Alexandra Dovgan. Dodici anni ed un nome dalla risonanza già internazionale, forte della lettera di raccomandazione di un mostro sacro come Grigory Sokolov. “Questo miracolo non ha nulla di infantile. Ascoltandola sentirete suonare un adulto, una personalità”. Ed è questa la sensazione che si ha al cospetto (per noi era la seconda volta) di questa musicista dal corpo di farfalla e dalla maturità già capace di cercare oltre le note, nel silenzio e nei rovelli delle loro pieghe, con un equilibrio ed una misura che, chiudendo gli occhi, portano la mente lontano, ad interpreti consumati.

Lo scorso 10 gennaio, la Dovgan ha incrociato idealmente la sua esistenza con quella del genio salisburghese sulle note del Concerto KV 488 in la maggiore, dialogando con l’Orchestra da Camera di Mantova sotto la conduzione – elegantemente cesellata e come sempre rigorosa nel segno, al prezzo di qualche libertà di gioco - di Umberto Benedetti Michelangeli. Nelle sue mani, il mirabile equilibrio che il Concerto sa raggiungere tra solarità e zone di irriducibile mestizia paradossalmente vedeva illuminata la faccia più saturnina, più introspettiva dell’opera - quell’Adagio in fa diesis minore dove si addensano, magnifiche e grevi, le nubi di un presagio di fine – anziché quella più spumeggiante di una vitalistica innocenza. Quasi come se, in un passo dalla grazia sempre minuziosa, dalle frasi sempre plasticamente disegnate pur in una palette timbrica ancora lieve, i dodici anni di Alexandra avessero già percepito il baratro amaro che soffia sotto le apollinee geometrie di questo sogno, tanto da prosciugarne lo slancio birichino dell’Allegro assai conclusivo in una prudente passeggiata a briglie strette. Ovazioni, ricambiate da un delicato Rachmaninov di congedo. Con lei, in lei, la cometa mozartiana è apparsa di nuovo in terra virgiliana.