Recensioni - Cultura e musica

Milano: Le architetture musicali di Forsythe

Una serata di grande energia convertita in interrotto virtuosismo

La danza torna purissima sul palco del Piermarini con i corpi dei danzatori trasformati in geometrie musicali che affascinano con le loro linee superbe. Blake Works V si compone tre parti sulla musica appassionante di James Blake: Prologue creato per i ballerini della Scala, The Barre Project nato su Zoom in periodo di Covid in collaborazione con Tiler Peck di NYCB, e Blake Works I creato per l’Opera di Parigi nel 2016 su sette canzoni tratte dall’album “The Colour in Anything” di James Blake.

In tempi di ristrettezze economiche facenti seguito alla pandemia e alla guerra in Ucraina che hanno fatto lievitare i prezzi in ogni settore, Forsythe sceglie la stessa via che utilizzò Balanchine al suo arrivo negli Stati Uniti e spoglia letteralmente il palcoscenico ed i ballerini. Il risultato? Un capolavoro che non si sa bene se definire architettura musicale danzante o danza musicale architettonica piuttosto che musica danzata architettonicamente.

Indipendentemente dalla definizione che si preferisca adottare, la certezza assoluta sta nella perfezione del prodotto finale. Sei settimane di incessante lavoro coi ballerini scaligeri, al di là di quelli che possano essere i limiti delle norme sindacali che riuscirebbero ad incatenare la più fertile creatività (ma non è qui evidentemente il caso), hanno portato alla realizzazione di una serata ricca di soddisfazione per tutti: in primis per i danzatori che hanno avuto la possibilità di sperimentare un diverso modo di muoversi, ma anche ovviamente per il pubblico che può godere di uno spettacolo di eccellente qualità. Il merito di tutto ciò è da attribuire alla lungimiranza del Direttore del Corpo di Ballo, Manuel Legris, che ha fortemente voluto questa nuova creazione e non ha posto alcun vincolo alle scelte nella formazione dei cast avvenuta senza tener conto delle gerarchie.

Probabilmente non per tutti sono evidenti fino in fondo le difficoltà delle coreografie di Forsythe, ma anche lo spettatore meno competente non può restare indifferente davanti alla velocità di piedi, gambe, braccia, cambi di direzione e tutto quello che si potrebbe andare avanti ad elencare. Forsythe rappresenta in una qualche maniera la reincarnazione di Balanchine. All’indomani del suo arrivo in America, Balanchine non poteva permettersi le scene ed i costumi della corte degli zar, quindi inventa quello che noi oggi chiamiamo balletto concertante adeguandolo alla fisicità dei danzatori americani che avevano leve diverse rispetto a quelle europee. Forsythe resta nella stessa scia portando la tecnica del singolo, ma anche quella di gruppo, al massimo delle potenzialità musicali in termini di precisione e velocità sia sul ritmo che sulla melodia, introducendo anche la musicalità sul silenzio. Va oltre la tecnica accademica con fuori asse in tutte le direzioni, aperture oltre i 180 gradi, giri coi piedi flex e inserisce contaminazioni dai vari generi come il musical, la salsa, la street dance, etc.
La lezione di Martha Graham si incastra con la filosofia Laban; i retaggi della sua formazione Vaganova, Bournonville, Cecchetti e ancor più gli insegnamenti di una delle ultime ballerine degli zar quale fu Olga Preobrajenska vengono magicamente fusi tra loro e rielaborati in maniera assolutamente personale.

Semplici i costumi ideati da Forsythe stesso: body con gonnellini corti per le donne e accademici per gli uomini. Questa sorta di sobrio costume di scena viene collettivamente riconosciuto come la divisa del duro lavoro quotidiano alla sbarra, l’impegno degli adagi e delle pirouettes al centro, il sudore delle batterie e dei grandi salti al termine della lezione di danza che non bagna i corpi, ma che li fa brillare sotto i riflettori sul palcoscenico, perché i ballerini di Forsyte sono tutti delle piccole o grandi stelle. I colori per Blake Works I, scelti in collaborazione con Dorothee Merg, risultano quasi essere una citazione balanchiniana di Serenade, così come le acconciature di tutto lo spettacolo.

Fondamentale è stato indubbiamente anche il lavoro degli assistenti coreografi di Forsythe, Jodie Gates e Noah Gelber per Prologue e The Barre Project, mentre Stefanie Arndt e Ayman Harper per Blake Works I. Essenziale, ma efficace il progetto luci di Tanja Rühl basato sui disegni originali di Brandon Stirling Baker per i primi due pezzi e integralmente autonoma per il terzo.

Applausi calorosi per tutti i danzatori della sesta rappresentazione che è giusto citare in toto dato che il lavoro d’ensemble è imprescindibile nelle coreografie di Forsythe: Maria Celeste Losa, Giulia Lunardi, Domenico Di Cristo, Navrin Turnbull, Edward Cooper, Francesco Mascia, Saïd Ramos Ponce; Nicoletta Manni, Alice Mariani, Linda Giubelli, Marco Agostino, Frank Aduca, Andrea Risso, Rinaldo Venuti; Martina Arduino, Gaia Andreanò, Alessandra Vassallo, Linda Giubellini, Benedetta Montefiore, Timofej Andrijashenko, Claudio Coviello, Christian Fagetti, Navrin Turnbull, Emanuele Cazzato, Edward Cooper, Valerio Lunadei, Alessandro Paoloni, Gioacchino Starace.