Recensire una replica di Aida all’Arena di Verona significa parlare soprattutto dell’allestimento e delle idee con cui regista e s...
Recensire una replica di Aida all’Arena di Verona significa parlare soprattutto dell’allestimento e delle idee con cui regista e scenografo hanno voluto riempire uno dei palcoscenici più grandi e suggestivi al mondo. Un palcoscenico che, proprio per la vastità delle sue dimensioni, può rivelarsi il primo degli ostacoli, se i responsabili della parte visiva non riescono a sfruttarne al meglio le potenzialità; soprattutto per quanto riguarda la parte superiore della scena che spesso rischia di restare sguarnita.
L’idea attorno a cui ruota questa nuova produzione è quella di un’Aida archeologica, sulla falsariga di quella allestita venti anni fa alla Scala da Ronconi, ambientata quindi non più nei palazzi faraonici ma in un’ipotetica valle dei re, con edifici in mattoni grezzi, in cui si accumulano tombe, mummie colossali e sarcofagi che si illuminano nella scena del tempio, secondo un gusto un po’ kitsch. Nel corso dell’opera si è avuta quindi in più occasioni una sensazione di accumulo e di “non finito”, quasi l’ambientazione fosse il cantiere di uno scavo ancora in esecuzione.
Giampiero Solari e Sergio Tramonti, rispettivamente regista e scenografo di questo nuovo allestimento, hanno scelto di puntare su una lettura sostanzialmente tradizionale, limitando però scenografie e movimenti di massa solo al palcoscenico ed utilizzando tutto l’ampio spazio delle gradinate esclusivamente per alcuni effetti di luce o giochi pirotecnici. Si assisteva quindi ad una concentrazione dell’azione in un ambiente compresso e sovraccarico, che contrastava con l’ampia porzione sovrastante quasi completamente inutilizzata. La stessa scena del trionfo si è concretizzata in una serie di movimenti di massa ai piedi di quattro baldacchini sui quali erano stati issati i protagonisti. Unica concessione: la sfilata nella parte superiore della scena di un gruppo di finti elefanti appesi ad una fune; scelta non particolarmente felice, ma che quantomeno aveva il merito di riempire uno spazio rimasto fino ad allora vuoto e quasi inutilizzato.
In sostanza un’Aida che non aveva la necessaria spettacolarità per essere tradizionale ed a cui qualche fiammata dalle gradinate e ed alcune videoproiezioni non conferivano quella caratura di originalità per essere veramente innovativa.
Decisamente più interessante invece il versante musicale: Daniel Oren ha diretto con mano sicura un’orchestra che da alcuni anni sembra entrata in un circolo virtuoso e, nonostante molte finezze non siano sempre realizzabili all’aperto, si dimostra ogni volta più ricca di colori e sfumature. Nel ruolo del titolo Amarilli Nizza ha confermato la sicura padronanza e la buona tenuta vocale che già avevamo apprezzato lo scorso anno. Accanto a lei lo squillante Radames di Marco berti e l’intensa Amneris di Marianne Cornetti. Convincenti l’Amonasro di Marco Vratogna, il Ramfis di Marco Spotti ed il Re di Duccio dal Monte.
Al termine applausi calorosi e ripetute chiamate per i protagonisti.
Davide Cornacchione 22 luglio 2007