Recensioni - Cultura e musica

Notte di capodanno con Beethoven e Leo Nucci

Il sordo… sogno d’amore in una notte di S. Silvestro, dedicato al musicista di Bonn in prima assoluta al Teatro Municipale di Piacenza

Il mondo è quello poetico e squattrinato di Bohème: una soffitta grigia dominata da una larga finestra, con l’aggiunta di un pianoforte che tracima di spartiti e di schizzi pronti a prender forma di pagine compiute, l’aria densa che hanno i sogni ancora incompiuti. Vista da qui, la Vienna della vecchia Singerstrasse sul cui acciottolato risuonano ancora i passi di Mozart e di Schubert, sembra la Parigi scapigliata di Montmartre. Nell’impasto miracoloso che la musica assicura, tutto si raccorcia. Lo scorso 31 dicembre, il Teatro Municipale di Piacenza ha voluto suggellare un anno di grazia con un dono che andasse oltre il pur godibile gala lirico.  Come d’altronde ha sottolineato il Sindaco della città Patrizia Barbieri, è nelle corde di Cristina Ferrari, da anni coraggioso capitano al timone del Teatro, l’idea di alzare ogni volta l’asticella della sfida, cercando formule e contenuti anche al di là dei consueti schemi. E, all’affacciarsi di questo 2020 in cui si celebrano i 250 anni della nascita di Ludwig van Beethoven, il Direttore Artistico ha giocato d’anticipo commissionando alla penna di Paolo Marcarini un’opera prima a lui dedicata. “Il sordo… sogno d’amore in una notte di S. Silvestro” è così andato in scena, attesissimo, proprio l’ultimo giorno dell’anno. In scena, nessuno come Leo Nucci, autore anche del libretto, avrebbe potuto incarnare con maggiore trasporto ed autenticità questo tributo al genio beethoveniano, al suo tormento ed al suo anelito ad un’umanità migliore.

Tra la squallida bellezza di quelle pareti il sipario si apriva su un uomo chino sul pianoforte, intento a sognare, o forse solo ad immaginare ciò che la sordità impedisce di avvertire compiutamente: melodie celestiali, voci e controvoci in un rincorrersi di echi arruffati che la penna di Marcarini punteggiava di folgoranti citazioni. Attorno all’uomo, un cenacolo di tre allievi - Anna, Joseph e Karl - un amore lì per sbocciare, ma soprattutto quell’idea di bottega in cui l’apprendimento avveniva all’ombra del Maestro, venerato come un nume tutelare. È da quel sogno che l’atto unico prendeva avvio, trasformando, con una somiglianza fisica quasi incredibile, il Sordo in Beethoven. In una scrittura che guardava al verismo pucciniano, alle macerate armonie a cavallo tra XIX e XX secolo, come a sottolineare il riverbero del genio sui secoli a venire, si faceva progressivamente largo il tema centrale della vicenda: una pagina in cui si celebri l’amore come sentimento motore del mondo, un Inno all’Amore universale: un Inno alla Gioia.

Sul palco, accanto al baritono lodigiano ad accogliere con successo la sfida di una scrittura insidiosa, l’Anna di Nunzia de Falco, lo Joseph di Ivan Defabiani ed il bravo Karl di Davide Procaccini. A fare di questo divertissement un gioiellino di raffinata minuzia, era ancora una volta la regia di Salvo Piro, coadiuvato dalle scene di Carlo Centolavigna e dai costumi di Artemio Cabassi. In buca, alla testa dell’orchestra dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti (in cui spiccava il pianoforte di Gianluca Ascheri), il giovane Jacopo Brusa, che ha saputo scavare nella partitura con arguzia e mestiere. Applausi generosi, culminati in un brindisi finale per tutti. In teatro, anche la BBC, a filmare e a documentare una realtà tra le più vivaci d’Italia, nonché l’ultima prodezza di Nucci, fuoriclasse senza tempo.