Recensioni - Cultura e musica

Onegin: la danza che parla

Il capolavoro di John Cranko torna in tutto il suo splendore sul palco del Teatro alla Scala di Milano.

Sono vari i cast che si alternano sul palcoscenico del Teatro alla Scala per l'Onegin di John Cranko su musiche di Pëtr Il’ic Čajkovskij con repliche fino al 26 settembre (il 21 settembre con il medesimo cast). Le parole non dette del romanzo in versi di Puškin dipingono le emozioni dell’essere umano in tutte le loro sfaccettature. Cranko rimanda la nostra anima allo specchio affinché, guardandosi, si interroghi sul senso delle proprie azioni, quello stesso specchio che accompagna gli interpreti in tutti e tre gli atti.

Il racconto narra la storia della giovane Tat’jana innamorata di Evgenij Onegin, un dandy aristocratico che, senza tante cerimonie, non si cura dei sentimenti della fanciulla, arrivando a strapparle tra le mani la lettera d’amore inviatagli e, addirittura, si permette di corteggiare, senza alcun pudore, la sorella Olga in presenza del di lei fidanzato. E se Tat’jana subisce la supponenza di Onegin, lo stesso non accade per Lenskij, fidanzato di Olga, che si ribella ai soprusi dell’amico trovando però la morte in duello. Passano gli anni e Onegin rivede Tat’jana, ormai moglie del principe Gremin. Onegin capisce che Tat’jana era la donna della sua vita, ma ormai è troppo tardi. Lei, forse per dignità, per etica o per morale non lo vuole più e, seppur le costi fatica, decide di restare fedele al marito non dimenticando tuttavia di ripagare Onegin con la stessa moneta, ovvero restituendogli la lettera d’amore che questa volta lui ha scritto a lei.

Nel ruolo del protagonista, Marco Agostino, più volte interprete di questa parte nelle passate edizioni scaligere, sembra essere inizialmente tradito da una certa emozione immediatamente controllata. Il suo Onegin del primo atto è freddo, altero, superbo, arrogante e distaccato: cammina un passo avanti alla giovane Tat’jana che, seguendolo, sembra quasi infastidirlo. Crede di essere un uomo sicuro di sé, uno di quelli ai quali basta allungare la mano per prendere ciò che vuole, come farà con Olga nel ballo secondo atto. Solo dopo aver ucciso l’amico in duello piega la testa sotto lo sguardo di disapprovazione di Tat’jana, iniziando forse quel cambiamento interiore che non lo porterà comunque ad ottenere ciò che desidera in fondo all’anima.

Splendida Nicoletta Manni. La sua è stata una Tatjana impeccabile: dolce, remissiva e sognante nel primo atto; ragazza innamorata e delusa nel secondo; donna determinata e consapevole che anche per lei è arrivato “il tempo delle marmellate” durante il quale “l’abitudine è un dono del cielo e sostituisce la felicità”. Bellissime le sue pirouettes finite in balance perfetto. Magnifica nella scena della lettera: quando Onegin le strappa il foglio tra le mani resta impietrita ed è come se le strappasse il cuore in piccoli pezzi.
I protagonisti hanno danzato i due celebri pas de deux di questo balletto in totale complicità senza risparmiarsi né dal punto di vista interpretativo, né, tanto meno, dal punto di vista fisico. Entrambi i pas de deux sono tecnicamente impegnativi, con lift e prese rapide ragion per cui non è possibile avere alcuna esitazione. La straordinaria coreografia di Cranko raggiunge la perfezione solamente nel momento in cui avviene la sintesi tra tecnica ed immedesimazione che entrambi i danzatori hanno saldamente dimostrato di aver acquisito.

La parte di Lenskij è stata danzata da uno straordinario Claudio Coviello. Il suo incedere elegante gli ha conferito anche quella certa nobiltà d’animo che rimanda al “kalos kai agathos”. Impeccabile nel suo primo a solo e ancor più in quello precedente il duello, ha dimostrato una eccezionale padronanza di giri. La bravura di Coviello fa rimpiangere allo spettatore che il suo personaggio muoia nel secondo atto. Agnese di Clemente è stata una freschissima Ol’ga. Brillante tecnica di salti, sia nel piccolo che nel grande allegro. Braccia morbide, interpretazione gioiosa e frizzante del personaggio, in particolare nel momento del corteggiamento del dandy di San Pietroburgo.
In Onegin i ruoli comprimari non sono meno impegnativi di quelli dei protagonisti. Il pas de deux iniziale di Ol’ga e Lenskij, sulla melanconica musica delle Stagioni, è stato un momento di purezza assoluta: due giovani, nel pieno della vita, hanno la fortuna di amarsi, essere corrisposti e per questo essere felici. Cosa c’è di più bello? Pregevole la prova di Edoardo Caporaletti nei panni del Principe Gremin.

Incantevole anche il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala nei pezzi d’insieme. Le coreografie sapientemente costruite da Cranko sono state ballate con ampio respiro. Nella danza russa tratta da Cherevichki gli uomini hanno deliziato il pubblico con elevazioni straordinarie e le donne hanno chiuso con altrettanto vigore nelle due diagonali di grand jete rendendo partecipe il pubblico di quella che è l’autentica gioia di danzare. Elegantissima in tutti i sensi la polacca del terzo atto.
Tutti i costumi disegnati da Pier Luigi Samaritani e Roberta Guidi Di Bagno hanno restituito un grandioso spaccato dell’opulenza della Russia zarista.

Sul podio il Maestro Felix Korobov ripropone con puntualità le partiture di Čajkovskij arrangiate da Kurt-Heinz Stolze, più volte collaboratore del coreografo britannico. Kurt-Heinz Stolze riuscì a creare uno splendido collage musicale partendo dal repertorio per pianoforte, dalle Stagioni e dalla Francesca da Rimini dato che non poteva attingere alle musiche dell’opera omonima.
In Onegin danza, musica e recitazione creano un unicum. Tutti dovrebbero leggere Onegin e non solo una volta, perché questo romanzo si presta ad interpretazioni diverse in ogni fase della vita e l’utilizzo della musica delle Stagioni altro non fa che accompagnare più o meno consapevolmente lo scorrere del tempo.

Solo un russo può comprendere fino in fondo il romanzo in versi di Puškin e solo Boris Eifman si è confrontato, seppur in altro stile, con Cranko. Il coreografo che ha compiuto il “miracolo di Stoccarda” è riuscito per primo a realizzare una sintesi geniale ed è possibile affermare che le parole di Puškin non avrebbe potuto avere traduzione più fedele. Ogni sfumatura delle emozioni umane passa nei movimenti dei personaggi e la poesia sublima nella danza.

Sonia Baccinelli 16 Settembre 2022