Recensioni - Cultura e musica

Onegin tra classicismo e modernità

Il capolavoro di Čajkovskij al regio di Torino diretto da Gianandrea Noseda nell’allestimento di Kasper Holten

L’idea di Holten è  che tutto ciò cui noi assistiamo sia sostanzialmente un ricordo che scocca nel momento in cui Onegin e Tatjana si incontrano a tu per tu nel corso del terzo atto: il tempo è trascorso, lui è tornato dal suo viaggio e lei si è nel frattempo sposata con Gremin. Da questo incontro che il regista pone, sottoforma di pantomima all’inizio dell’opera,  la vicenda riparte dal pomeriggio in campagna in cui i due si videro per la prima volta e da cui tutto ebbe inizio.
Molto interessante si è rivelata l’idea di affiancare ai protagonisti due attori che li impersonano in alcune passaggi. Mentre il “vero” Onegin e la “vera” Tatjana osservano da spettatori, i loro doppi agiscono sulla scena,  a sottolineare ulteriormente il fatto che quello che viene rappresentato stia in realtà rivivendo nelle loro menti.
Innumerevoli sarebbero i passaggi da citare per sottolineare l’ottima regia, ma uno su tutti: la scena del duello, che per il regista è la chiave di volta dell’opera; infatti i tre atti vengono accorpati in due e la pausa viene inserita a metà del secondo proprio prima di questo quadro.  Onegin non partecipa al duello, osserva da fuori con aria sgomenta il suo doppio ripetere i gesti che lui aveva compiuto in passato, e subito prima che venga sparato il colpo che ucciderà Lenskij intona il duetto “Vragi! Davno li drug ot druga” insieme all’amico, ma al suo fianco, quasi ricordando le parole che solo Lenskij aveva pronunciato in quell’occasione e con l’amarezza di chi vorrebbe tornare indietro per poter cambiare il corso degli eventi. Ma così purtroppo non è  ed il cadavere resterà a proscenio per tutta la scena del ricevimento sino a conclusione dell’opera.
Oltre all’aspetto registico, abbiamo avuto modo di apprezzare anche il lato musicale della produzione, nonostante nella replica cui abbiamo assistito fosse presente il secondo cast.
Sicuramente i maggiori consensi sono stati rivolti alla Tatiana di Radostina Nikolaeva: il giovane soprano bulgaro ha voce piena e corposa, gli acuti sono sicuri e i centri ricchi di armonici. Dal punto di vista interpretativo si è avuta l’impressione che il lato più ingenuo e poetico della protagonista cedesse il passo a quello più passionale e volitivo, ma il risultato è stato comunque convincente.
Qualche perplessità l’ha invece suscitata l’esibizione di Vladislav Sulimskij nel ruolo del titolo. Se il baritono ha comunque offerto una corretta prova vocale, pur non di grande incisività, l’interprete non sempre si è mostrato in grado di assecondare fino in fondo le complesse sfumature che il regista aveva affidato al personaggio. Il risultato è stato quindi quello di un Onegin abbastanza incolore e mai veramente al centro della vicenda.
Aleksey Tatarintsev ha un bel registro tenorile ed è eccellente fraseggiatore, la voce però è un po’ piccola e tende a perdersi in un teatro delle dimensioni del Regio. Se nella prima aria “Ya lyublyu vas” questo limite si è maggiormente percepito, nel prosieguo dell’opera il timbro si è irrobustito in un crescendo che ha delineato un Lensky lirico ed appassionato concluso con un ottima resa dell’aria  “Kuda, kuda. Kuda vi udalilis.
Irina Zytynska è stata un’Olga sostanzialmente corretta mentre Aleksander Vinogradov nell’aria di Gremin ha sfoggiato un bel timbro scuro ma allo stesso tempo un po’ ruvido e privo di quelle rotondità che il ruolo invece richiederebbe.
Marie Mc Laughlin è stata una Larina di lusso, come anche  la njanja di Elena Sommer, dotata di voce scura e corposa, mentre Carlo Bosi ha delineato un azzeccato Monsieur Triquet.
Eccellente come sempre la prova del coro diretto da Claudio Fenoglio.
Sul podio Ganandrea Noseda ha confermato la sua abituale frequentazione con l’orchestra del Regio riuscendo a trarne una tavolozza cromatica di grandissima varietà. I suoni erano sempre bellissimi e lo scavo nella partitura ha portato ad alcuni momenti di eccellente resa. Il limite della sua lettura forse risiede nell’aver voluto sorvolare sulla componente più lirica e più squisitamente “russa” cercando invece sonorità più drammatiche e più moderne. Il risultato quindi, seppur di eccellente livello, si è risolto in un’interpretazione non perfettamente risolta.
Partecipe la risposta del pubblico che ha rivolto applausi convinti a tutta la compagnia.

Davide Cornacchione 25/06/2013

 


La nuova produzione di Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij con la regia di Kasper Holten, coprodotta con Royal Opera House e Opera Australia, dopo la sua “prima” londinese ha debuttato anche sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino.
Diciamo innanzitutto che si tratta di un allestimento di grande bellezza ed altrettanta efficacia. Il regista danese ha infatti optato per una lettura estremamente moderna dell’opera, pur avvalendosi di un impianto  sostanzialmente tradizionale sia nelle scene, disegnate da Mia Stensgaard, che nei costumi, firmati da Katrina Lindsay, a riprova che si può benissimo essere innovativi nella regia senza per forza stravolgere drammaturgie o ricreare le ambientazioni più improbabili e stralunate.