Recensioni - Cultura e musica

Orfeo in tempo di guerra

Ambientazione bellica per l’Orfeo di Monteverdi in scena al Teatro Olimpico

La scenografia realizzata da Vincenzo Scamozzi per il Teatro Olimpico di Vicenza è da sempre croce e delizia per registi impegnati in questo spazio. Se infatti è impossibile trovare un fondale più bello e suggestivo per uno spettacolo, la sua assoluta perfezione ne impedisce ritocchi o modifiche sostanziali, al punto da divenire un vincolo importante.
Andrea Castello, direttore artistico di Vicenza in Lirica e regista dell’Orfeo di Claudio Monteverdi che qui ha debuttato, ha scelto di chiudere con dei teli i tre archi che danno sulle vie di Tebe lavorando solo sul frons scenae attraverso un progetto di video mapping curato da Mauro Zocchetta e Zebra Mapping.


L’idea portante consisteva nel proiettare alcune immagini provenienti dall’archivio dell’incisore vicentino Neri Pozza, relative ai bombardamenti subiti dalla città durante il secondo conflitto mondiale, creando un legame ideale tra la discesa all’inferno e l’ascesa in cielo di Orfeo e la distruzione e rinascita della città. Questa soluzione che, grazie alle efficaci luci di Chiara Casarotto, in più di un’occasione ha saputo esaltare la bellezza dell’architettura scamozziana e creare momenti di grande suggestione, non è riuscita a svilupparsi compiutamente a causa della frammentarietà e della scarsa intelligibilità delle immagini stesse, che hanno reso non sempre chiari i riferimenti con la guerra.

Altro conflitto presente sulla scena era quello relativo alla sessualità di Orfeo che, dopo una iniziale fase di incertezza, durante il viaggio agli inferi prende consapevolezza della propria omosessualità e quindi, nelle intenzioni registiche, volontariamente si volge verso Euridice per liberarsi per sempre della figura femminile. Questo aspetto viene chiaramente esplicitato nei primi due atti dalla presenza di un danzatore, il bravo Paolo Pincastelli, a rappresentare l’ambiguità del protagonista. Una scelta così netta avrebbe avuto bisogno però di un maggiore approfondimento della gestualità e dei rapporti tra i singoli interpreti che al contrario rimanevano il più delle volte fermi a proscenio in posizioni sostanzialmente convenzionali. 

Più riuscito il versante musicale: Francesco Erle alla testa dell’orchestra e del coro della Schola San Rocco ha giocato su una varietà ritmica che ha impresso alla partitura un buon ritmo narrativo, nonostante si sia registrata qualche incertezza nella sezione dei fiati del gruppo Harmonia Parnassia.
Marco Saccardin si è ben disimpegnato nel non semplice ruolo di Orfeo, rivelando un buon timbro e una buona tenuta vocale che gli ha permesso di creare un personaggio nel complesso convincente. Al suo fianco spiccava l’eccellente Giulia Bolcato che, nel doppio ruolo della Musica e di Euridice -molto efficace l’idea del cambio di costume a vista-  ha sfoggiato, oltre ad un timbro luminoso, una tecnica solidissima e grande disinvoltura nel fraseggio. Ottima anche la prova di Anna Bessi nel pur breve ruolo della Speranza, mentre Valeria Girardello, più a suo agio nel registro grave ha risolto egregiamente la scena della Messaggera. Adeguata la coppia infernale formata dalla Proserpina di Arianna Lanci e dal Plutone di Fulvio Fonzi, impegnato anche come pastore, mentre Mateusz Droszda, pur lasciando intuire un timbro interessante ha mostrato lacune tecniche tali da impedirgli di affrontare adeguatamente il ruolo di Caronte. Efficace il gruppo dei pastori costituito da Enrico Brusia (anche Apollo), Enrico Torre, Antonio Orsini e  Martina Loi (Ninfa).

Al termine applausi calorosi da parte del pubblico che esauriva il Teatro Olimpico rivolti a tutti gli interpreti ed anche a Madame Sisi, drag queen titolare della discoteca gardesana Art che, con lungimirante mecenatismo, ha sponsorizzato le borse di studio che hanno permesso ai cantanti di partecipare ai corsi di perfezionamento finalizzati all’allestimento di Orfeo.

Davide Cornacchione 6 settembre 2017