Recensioni - Cultura e musica

Parma: Due Foscari stilizzati

Leo Muscato firma una regia essenziale e misurata dell'opera giovanile di Verdi

Il conflitto tra potere pubblico e sentimenti privati, tra ragioni di Stato ragioni del cuore, costituisce una delle tematiche fondamentali della poetica di Giuseppe Verdi, che sarà alla base di alcuni capolavori della maturità quali Don Carlos e Aida. È tuttavia I due Foscari, opera composta nel 1844, il primo titolo che fa di questo tema il nucleo centrale, motivo per cui il musicista di Busseto nutrì sempre una certa fiducia nei confronti di quest’opera, nonostante al debutto non avesse ottenuto il successo che si aspettava.
Il “Bel soggetto delicato e assai patetico”, ripreso dal dramma di George Byron, che narrava le vicende del doge e Francesco Foscari deposto dal consiglio dei Dieci, dopo non essere riuscito a salvare il figlio Jacopo dal carcere, aveva molto colpito Verdi che ne commissionò il libretto all’amico Francesco Maria Piave. Pur appartenendo al periodo dei cosiddetti “anni di galera” l’opera contiene, soprattutto nel secondo e nel terzo atto, pagine di indiscusso valore, che però è non la riscattano completamente da una certa uniformità di colore. Uniformità che si traduce anche in una sostanziale povertà dal punto di vista drammaturgico, che la regia firmata da Leo Muscato del nuovo allestimento che ha debuttato al Teatro Regio di Parma in occasione del Festival Verdi 2019 non ha saputo completamente risolvere.

Lo scenografo Andrea Belli ha concepito uno spazio simbolico, astratto, caratterizzato da un’ampia struttura semicircolare sul fondo costituita da prismi girevoli che, ruotando su se stessi, come i periaktoi del teatro greco, permettevano il passaggio da un ambiente all’altro. Il palcoscenico, sostanzialmente spoglio veniva di quando in quando ravvivato da pochi elementi quali un tavolo o una sedia. Alcune soluzioni visive, soprattutto quelle legate alla scena del carcere, risultavano di grande suggestione, complici le efficaci luci di Alessandro Verazzi, ma la regia non riusciva ad affrancarsi da una certa staticità e convenzionalità nella caratterizzazione dei personaggi. I bei costumi di Silvia Aymonino, trasferivano la vicenda in epoca risorgimentale, senza però che questa soluzione trovasse una reale corrispondenza nello svolgimento dell’azione.

Vladimir Stoyanov ha tratteggiato un Francesco Foscari dolente, di grande umanità. Timbro morbido e nobiltà nel fraseggio hanno caratterizzato un’interpretazione maiuscola, che ha raggiunto l’apice nell’intensa scena del terzo atto. Meno incisiva la prova di Stefan Pop, nei panni di un irruento Jacopo Foscari che, pur facendo sfoggio di un solidissimo registro centrale, è parso non sempre a suo agio nelle note più acute. Qualche perplessità ha destato anche l’Amelia di Maria Katzarava: il grande impeto sulla scena non era sempre supportato da un fraseggio adeguato e le agilità non erano sempre brillantemente risolte. Efficace, nonostante qualche segno di affaticamento vocale, la prova di Giacomo Prestia nel ruolo del perfido Jacopo Loredano.

Paolo Arrivabeni, alla testa della Filarmonica Arturo Toscanini e dell'Orchestra Giovanile della Via Emilia, ha optato per una lettura dai forti contrasti, che accentuasse la componente risorgimentale dell’opera, scelta che però è andata a discapito di una narrazione fluida e di una reale partecipazione emotiva dell’orchestra, che peraltro è parsa meno a fuoco rispetto ad altre occasioni. Encomiabile come sempre la prova del Coro del Teatro Regio, ottimamente istruito da Martino Faggiani.