Otto magnifici danzatori per le coreografie di Valerio Longo
Parma, capitale della cultura 2020, in una sorta di prolungamento ideale dovuto alla pandemia, prosegue il suo compito per un biennio, senza dimenticare il centenario della nascita di Piazzolla ragion per cui, tra i titoli in cartellone per ParmaDanza 2021-2022, con un giustificabilissimo ritardo, arriva anche “Astor, un secolo di tango”.
Il nome di Astor Piazzolla è universalmente associato alla parola tango. Nato a Buenos Aires l’11 marzo 1921, Piazzolla è colui che porta il tango in Europa e nel mondo, facendolo riscoprire e contaminandolo in tutti i modi possibili. A partire dalla metà degli anni ’50 fino alla sua morte, le musiche di Salgan e Pugliese vengono influenzate dalle passacaglie di Bach, dalle scale di Bartók, dai fraseggi jazz, oltre che dai colori tipici del candombe, della milonga e dell’habañera. Piazzolla amava il tango alla follia fino a giocarci con le parole dei titoli delle sue partiture: Libertango, Meditango, Tristango, Tanguedia.
Lo spettacolo andato in scena sul palco del Teatro Regio di Parma è stato danzato da otto splendidi ballerini: Paolo Barbonaglia, Cecilia Borghese, Roberta De Simone, Alessio Di Traglia, Serena Marchese, Francesco Moro, Lorenzo Petri, Giulia Strambini. La solida formazione classica è stata piacevolmente declinata in chiave moderno-contemporanea da Valerio Longo che ha saputo creare belle coreografie per le quattro coppie. I giovani interpreti trasudavano la voglia di esprimersi anche da fermi. Un anno e più di stop forzato dovuto all’emergenza sanitaria, non ha fatto altro che accrescere il desiderio di dar vita alla danza, quella vera, pulita e forte. I corpi dei ragazzi hanno disegnato linee sempre perfette. Prese, lift, giri controllati in ogni dettaglio. Ottima elevazione maschile e bei tour en l’air. L’alternanza di momenti di gruppo, passi a due o a tre, coppie, uomini/donne è stata bilanciata con equilibro ineccepibile. Qualche fugace abbraccio ha rimandato la mente all’idea del tango argentino, ma come per la musica di Piazzolla, le molteplici contaminazioni stilistiche danno vita ad una danza viva, che si evolve continuamente e nella quale nessun movimento va necessariamente incluso o escluso a priori.
E se lo spettacolo è stato assolutamente godibile dal punto di vista della danza, non si può dire purtroppo lo stesso della parte musicale che avrebbe forse dovuto e potuto essere studiata diversamente. L’idea di proporre una base registrata con il bandoneón/fisarmonica che suona dal vivo, avrebbe anche potuto funzionare, ma così non è stato o almeno non sempre. Il fruscio della registrazione, con ogni probabilità da vinile, non ha permesso di sentire distintamente né l’uno, né l’altra risultando fastidiosa. Inoltre, sarebbe stato auspicabile poter udire suonare Mario Stefano Pietrodarchi senza “aggiunte registrate” almeno un paio di volte nella serata, cosa che non è accaduta. Questo avrebbe permesso ai ballerini di prendere una pausa in modo da poter tenere la scena più a lungo così che anche il pubblico potesse fruire di una serata più ricca ed articolata.
Libertango, come da copione a chiusura dello spettacolo, è stato inspiegabilmente il momento di minor energia della serata: ballerini castrati nel loro desiderio di esprimersi per mettere al centro della scena un’orchestra in playback con un solista poco udibile dal vivo. I celebri latigos di Piazzolla, sui quali i tangueri adorano eseguire i boleos, avrebbero potuto essere trasformati in prese, salti e giri mozzafiato anziché dover sprecare energia in un girotondo di corsa poco significativo.
El pibe de Troilo, quello che negli scapestrati anni newyorkesi riceve in dono dal padre il bandoneón, suo inseparabile compagno di vita e col quale suonerà struggenti melodie come Oblivion, pur essendo il protagonista di questo spettacolo, resta un po’ nel cono d’ombra. Citando la frase di Frasca “Il suo nome è Astor Piazzolla e il suo strumento è il bandoneón che sta al tango come il sax sta al jazz”, viene da chiedersi se questo sia il modo più corretto per ascoltare il più grande nome legato al tango. Forse un duo o un trio avrebbero dato maggiore soddisfazione anche allo stesso Pietrodarchi. Spettacolo dalle buone potenzialità, necessita tuttavia di essere sviluppato anche negli accenni a Borges e Gardel.
Gradevole atmosfera creata delle luci di Carlo Cerri. I costumi di Silvia Califano hanno messo in evidenza l’anatomia scultorea dei danzatori.
Sonia Baccinelli
29 gennaio 2022