
Al Festival Verdi una memorabile esecuzione dei Quattro Pezzi sacri preceduti da pagine di Parsifal
A detta di molti presenti il punto più alto dell’edizione 2022 del Festival Verdi di Parma è stato raggiunto, sia per originalità della proposta che per qualità dell’esecuzione, in occasione del concerto dell’Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretti da Daniele Gatti al Teatro Regio, in un programma che poneva a confronto Giuseppe Verdi e Richard Wagner ed il rispettivo approccio al trascendente nelle loro due opere-testamento.
Le partiture in questione erano rispettivamente i Quattro Pezzi sacri e tre scene dal Parsifal per le quali è difficile parlare propriamente di pagine “sacre”, nonostante il titolo verdiano, dato che entrambi i compositori hanno nel corso della loro vita sempre avuto un rapporto complesso nei confronti della religione. Se infatti Verdi non fece mai mistero del suo anticlericalismo e di una scarsa propensione al misticismo, ancora più articolato è il percorso di Wagner: luterano, antisemita che tuttavia lavorò sia ad un’opera dal titolo Jesus von Nazareth sia ad una (Die Sieger) tratta dall’Introduzione alla storia del buddismo indiano. Tuttavia se per i Quattro Pezzi sacri la dichiarazione è implicita, anche Parsifal è intriso di misticismo: dal sottotitolo di Bühnenweihfestspiel, agli innumerevoli riferimenti religiosi che portarono Nietzsche a formulare l’accusa di decadentismo nei confronti del compositore.
Sono quindi molti i punti di contatto tra queste due composizioni quasi coeve -1882 Parsifal, 1886-97 i Quattro Pezzi sacri- che chiudono le parabole compositive di entrambi i musicisti, rivolgendo idealmente lo sguardo verso un “oltre” che non appartiene più a questo mondo.
La selezione tratta da Parsifal prevedeva l’esecuzione di tre pagine: il Preludio del primo atto, la Musica del cambio di scena e l’Incantesimo del Venerdì Santo, delle quali Gatti ha dato una lettura estremamente meditata e cesellata, confermandosi come uno dei massimi interpreti wagneriani della nostra epoca. Il suo è un Wagner luminoso, intriso di lirismo, che si stacca da una tradizione interpretativa più massiccia, di stampo teutonico, per stemprarsi un una solarità che si potrebbe definire mediterranea, che si sposa perfettamente ad una partitura scritta in parte in Italia e che da quel clima è stata influenzata: basti pensare che il compositore per la sala del Graal si ispirò al Duomo di Siena mentre per il giardino di Klingsor a quello di Villa Rufolo a Ravello.
Ispiratissima la prova dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, che ha sfoggiato un suono smagliante, ricco di trasparenze, e del coro impegnato nella Musica del cambio di scena sia sul palco che nel foyer in un suggestivo effetto di spazializzazione sonora.
Non da meno è stata l’esecuzione dei Quattro Pezzi sacri, aperti da un’Ave Maria in cui il canto a cappella spiccava per il perfetto equilibrio tra le parti e l’intensità emotiva, caratteristiche che hanno impreziosito anche le Laudi alla Vergine, mentre nello Stabat Mater, di cui Gatti ha dato una lettura più chiaroscurata, per certi versi drammatizzata, emergeva il Verdi uomo di teatro. Magnifico l’incipit a fior di labbra con cui il coro ha attaccato il Te Deum, quasi fosse un suono proveniente da un’altra dimensione, per poi deflagrare in un Sanctus catartico e liberatorio.
Al termine applausi fragorosissimi hanno tributato un successo incondizionato ad un concerto destinato a rimanere scolpito nella memoria di quanti vi hanno assistito del quale si spera, vista la presenza di numerosi microfoni sul palco, possa essere realizzata un’incisione discografica.