Recensioni - Cultura e musica

Quartetto Prometeo: Un camerismo di rara plasticità ed intelligenza

Ravel e Schubert al Teatro Bibiena di Mantova per la rassegna Tempo d'orchestra

Duttile, mercuriale, metamorfico. Immensamente vivo. Di pelle in pelle – l’ultima muta vede alla viola la morbidezza avvolgente di Danusha Waskiewicz, giunta ad arrotondare le punte, a smussare i pur esaltanti spigoli assicurati dal magnifico Massimo Piva – il Quartetto Prometeo sembra proseguire il proprio cammino su un sentiero che fa del più squisito camerismo un terreno di acuta, incrollabile introspezione, di scavo sino all’anima -  non di rado scomoda, aspra, urticante - di verità che non smette di riportare alla luce, assicurando uno dopo l’altro ascolti che a loro volta significano miracolo della scoperta e tarlo del dubbio. Lo scorso martedì 8 febbraio, l’acustica miracolosa del Teatro Bibiena era tutta per questi magnifici quattro (ex) ragazzi, ospiti di uno dei più begli appuntamenti del cartellone 2021/2022 di Tempo d’Orchestra.

Due battute, quell’incipit esitante dall’aria anticata e lontana, ed il Ravel del giovanile Quartetto in la minore prendeva il largo; raffreddato rispetto alla febbrile temperie di ascolti precedenti, impreziosito da una colloquialità pudica e consapevole, mosso dalla brezza di un’urgenza che ne animava le linee senza scomporne la compiuta grazia. Un racconto dai toni color seppia, sospeso a mezz’aria, immensamente cinematografico nello spalancarsi del suo mondo sonoro sorvegliato quanto naturale; un mondo abitato dal vento, da colori primari un mondo di passi in levare, di un lirismo ogni volta attinto nelle profondità della pagina, mai manierato. La scrittura raveliana guarda avanti pescando lontano, ebbra di luce eppure affascinata dalle ombre, netta nel taglio quanto cangiante nella ricerca di timbri intimamente evocativi. Giulio Rovighi, Aldo Campagnari, Danusha Waskiewicz e Francesco Dillon ne percorrevano il paesaggio brullo di un imprecisato sud dell’anima, a tratti punzecchiato dallo sferzante mistral, accompagnandone le curve con eleganza e partecipazione. Un dialogo avvincente dove, come accade solo a poche formazioni, le singole individualità trovavano la giusta combustione per accendersi di una fiamma che era abbraccio, calore, immaginazione. Il filo sempre esatto del primo violino, giustamente asciutto a contrappuntare il carnale velluto del violoncello, e gli archi di mezzo, con il lavoro di ordito, paziente, segreto, del secondo violino e della viola, dicevano di un fare musica in cui l’interrogativo vince sull’affermazione, l’insinuare ha ragione sul proclamare. Un camerismo di rara plasticità ed intelligenza, mai scontato, mai ripetitivo, magico persino quando non tutte le frecce vanno a segno.

A scombinare, e a ricomporre – diverse, uguali, amplificate - le carte di tanta bellezza, nella seconda parte della serata giungeva sul palco Enrico Bronzi, violoncello torreggiante quanto imperioso che si univa alla festa per un esaltante Quintetto D 956 di Schubert. L’aurea grazia dei Prometei, felicemente minacciata dal vulcanico componente del Trio di Parma, sapeva sciogliersi e riannodarsi ad arte in più ampi tiranti, accogliendo al proprio interno il raddoppio di un ennesimo arco, quello che Schubert immaginava, in quell’ultimo anno di convulsa intensità creativa, prima di spegnersi, per dare respiro e slancio all’innato sinfonismo della partitura. Cessava il vento, e sul palco del Bibiena calava quella luce diurna che, nello spirito schubertiano, subito diventa altro, il turbinare di una danza emotiva in cui era la trascolorazione la cifra saliente. Quasi un’ora di musica scandita dai sussulti di una scrittura olimpica e sulfurea, drammatica e (fintamente) conciliante, vasta e varia come la vita e proprio come essa sfuggente, pervasa di richiami interni, echi, ritorni, reminiscenze. Un labirinto di estatica contemplazione e di nera disperazione a cui proprio la convergenza di temperamenti così diversi e di personalità così eclettiche assicurava fulgore ed autenticità. Quattro, uno, centomila. Un quartetto capace di disegnare moltitudini.