Recensioni - Cultura e musica

Ricca vedova al Filarmonico di Verona

L’operetta di Lehár inaugura la stagione lirica

“Innamorarsi sempre, fidanzarsi qualche volta, sposarsi mai!” è il motto che il conte Danilo ripete più volte nella celebre operetta musicata da Franz Lehár. Al giorno d’oggi verrebbe tradotto in un più opportuno “single/separati, ma non da soli!” visto che i coniugi sono molto più longevi e le vicende giudiziali di separazione interminabili.
In breve l'operetta racconta di come l’ambasciatore pontevedrino, barone Zeta, riesca a far sposare la ricca vedova Hanna Glavari con il conte Danilo, sua antica fiamma per salvare dalla bancarotta il piccolo stato. Nel frattempo si sviluppa il triangolo amoroso tra il barone, sua moglie Valencienne e Camille de Rossillon.
 

L’operetta debuttò al Theater an der Wien il 30 dicembre 1905, ma non può definirsi né viennese né parigina così come il suo compositore non può dirsi né ungherese né austriaco.
Die lustige Witwe, nella concezione registica proposta da Federico Tiezzi,  è ambientata in una Parigi “viennizzata”, sebbene tutta la vicenda faccia riferimento all’immaginario regno del Pontevedro. Pontevedro è l’emblema ideale dello stato imperiale che rimanda immediatamente al Montenegro e a Sarajevo nonché  allo scoppio della prima guerra mondiale  (anche se è superfluo chiedersi fino a che punto librettisti e musicisti fossero consapevoli del tasto che stavano toccando).
La scena veronese si è aperta su un’architettura che richiamava colori e linee dell’architettura della Repubblica di Weimar. Le didascalie a led rossi che passavano in verticale ed in orizzontale inoltre erano dei riferimenti diretti alla borsa: 29 ottobre 1929, FTSE Star, FTSE  All-Share. Un riferimento anche all’attuale situazione europea di Grecia e Irlanda? Chissà.
Da subito il pubblico è rimasto abbagliato dal sipario argento di proscenio e immediatamente dopo dallo sfarzo degli abiti di tutti i personaggi. Di certo bisogna riconoscere che Giovanna Buzzi e Silvia Bonetti, rispettivamente la costumista e la sua assistente, hanno fatto un ottimo lavoro.
Silvia dalla Benetta ha interpretato con molta classe la parte di Hanna Glawari: tutt’altro che allegro, il personaggio di Hanna può dirsi più sensibile e malinconico. Hanna è una donna padrona di sé e consapevole delle sue umili origini per le quali in gioventù si è vista abbandonata dal conte Danilo che ora la rivuole in considerazione del fatto che il divario sociale tra i due è diminuito: di certo lei non è diventata nobile, ma sicuramente è molto ricca. Silvia dalla Benetta  si è rivelata efficace interprete, oltre che cantante di classe, come esempio si può ricordare il suo ingresso a Chez Maxim, dove il suo incedere sicuro ha un po’ ricordato il carisma di Marilyn Monroe.
Bravo anche Gezim Myshketa al suo fianco nel ruolo del conte Danilo: fintamente stizzito, ma sufficientemente galante per riuscire a riconquistarla.
Divertentissimi Bruno Praticò e Gennaro Cannavacciuolo rispettivamente nelle parti del barone Zeta e di Njegus; l’intesa tra i due era perfetta per cui i tempi teatrali per creare le situazioni di comicità sono stati davvero molti ed il pubblico ha potuto apprezzare ogni risvolto spassoso.
Davinia Rodriguez nel ruolo di Valencienne era partita un po’ in sordina nel primo atto, ma, sentita la sua potenza di voce nel secondo e soprattutto nel finale del terzo atto, si può senza ombra di dubbio dedurre che abbia volutamente “risparmiato” le forze per avere uno splendido crescendo nel corso dello spettacolo. Molto  coinvolgente il suo duetto con Camillo nel secondo atto.
Simpatico il can can del terzo atto con lo sfondo di Chez Maxim con la coreografia di Giovanni Di Cicco riadattata dal Maria Grazia Garofoli per il corpo di ballo areniano. Qualche perplessità invece su abiti e coreografia della czarda del secondo atto, senz’altro più confacenti alla Sagra della Pirmavera che ad una danza di carattere ungherese.

Sonia Baccinelli 18 dicembre 2010