Recensioni - Cultura e musica

Rigoletto, di nuovo spazio alle voci

Spesso l’Arena di Verona diviene sinonimo di allestimenti monumentali, con scene imponenti e mozzafiato e con migliaia di comparse...

Spesso l’Arena di Verona diviene sinonimo di allestimenti monumentali, con scene imponenti e mozzafiato e con migliaia di comparse a riempire lo sconfinato palcoscenico veronese. Di senso completamente opposto invece il nuovo allestimento di Rigoletto di Giuseppe Verdi concepito dal regista Charles Roubaud, con le scene di Bernard Arnould e i costumi di Katia Duflot.

Robaud ha giocato sul contrasto fra linee curve ed elementi squadrati e spigolosi. Da una parte un grande elemento scenografico convesso su cui era riprodotto il Palazzo Ducale di Mantova, dall’altra un cubo che si trova all’interno, a volte nascosto e a volte rivelato dall’aprirsi della scenografia rotondeggiante. Il tutto potrebbe sembrare scarno, soprattutto per un allestimento areniano, al contrario il regista cala le sue carte vincenti giocando sulla lettura drammaturgica. Il bel palazzo risulta infatti essere quello che è: una vuota facciata contro cui Rigoletto si scaglia inutilmente, ma non solo, quando questa si apre al suo interno altro non c’è se non un freddo elemento che nel finale si chiude immoto davanti alla disperazione del protagonista.

La regia suggerisce abilmente il dibattersi di Rigoletto alla ricerca di una fuga dalla prigione in cui si sente rinchiuso (“Non saper, non poter altro che ridere”), ma ogni porta si chiude, ogni parete diviene liscia e fredda e al culmine della tragedia il palazzo stesso si richiude sul protagonista disperato, tornando a mostrare solo la facciata delle cose, l’apparenza.

Anche le scene d’insieme, soprattutto la festa del primo atto, sono state risolte brillantemente ricorrendo ad un massiccio uso della coreografia che contribuisce a movimentare e a rendere credibile tutta la scena della festa anche in mancanza di sfarzi e ornamenti.

Una regia simbolica in sostanza, ma che finalmente ha permesso di vedere anche un buon lavoro sui cantanti: un Rigoletto energico, non troppo senile, con delle buone trovate soprattutto nel rapporto, una volta tanto credibile, con i vari personaggi della corte. Anche Gilda è stata caratterizzata con maggiore energia rispetto alla tradizione a tutto vantaggio della credibilità scenica del personaggio.

La linearità dell’allestimento ha poi fatto emergere appieno i cantanti che sono riusciti a rapire il folto pubblico areniano dall’inizio alla fine, dimostrando, se ce ne fosse bisogno, l’importanza di cantanti validi anche in spazi come l’Arena. Direi di più cantanti-attori, perfettamente in parte ed immedesimati nel ruolo anche dal punto di vista fisico, cosa che nel moderno teatro d’opera non è più trascurabile. Sopra tutti spiccava il Rigoletto intenso e dolente di Leo Nucci, che riesce ad azzeccare, con un’intelligenza interpretativa invidiabile, sempre i toni appropriati allo spazio dove si trova. Rispetto alle recenti recite scaligere infatti, Nucci calcava quel tanto che basta sulla spettacolarità e sulla potenza vocale così da far giungere il personaggio e la voce anche all’ultima fila dell’immenso anfiteatro. Per lui una vera e propria ovazione dopo la scena del secondo atto (Cortigiani vil razza dannata) e un bis a furor di popolo per “Sì vendetta, tremenda vendetta”.

Nucci era ottimamente affiancato dalla Gilda di Inva Mula che ha dato il meglio di sé in “Caro nome”, ma anche nell’ultimo atto in cui ha dimostrato finezza d’interprete e squisita musicalità. Corretto anche se più generico il Duca di Mantova di Tito Beltran. Imponente sia fisicamente che vocalmente lo Sparafucile di Mario Luperi, fra i più credibili interpreti di questa parte, spesso considerata ingrata, che mi sia capitato di vedere. Scenicamente molto accattivante e vocalmente corretta la Maddalena di Sarah M’Punga. Dirigeva l’orchestra dell’Arena di Verona Marcello Viotti, che non ha mai perso il legame con il palcoscenico supportando ottimamente i cantanti con una concertazione che puntava particolarmente sugli accenti drammatici, lasciando però sempre distendere il suono orchestrale. Di particolare rilievo la scena finale del temporale.

Meritatissimo successo finale per tutti gli interpreti e un’ovazione al calor bianco per Leo Nucci.

R. Malesci
(22 Agosto 2001)