Recensioni - Cultura e musica

Roma: Beethoven e Mozart di grande effetto a Santa Cecilia

Suggestivo apporto dell'attore Massimo Popolizio

Interessantissimo concerto presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia all’Auditorium Parco della Musica di Roma. In programma la sinfonia nr 1 in Do maggiore Op21 di L.v. Beethoven nella prima parte del concerto, mentre nella seconda il Requiem in re minore K626, la Musica Funebre Massonica in do minore K477, il Laudate Dominum dai Vesperae Solemnes de Confessore K339/5, l’Ave Verum Corpus K618, una selezione di canti gregoriani associati alla musica sacra funebre in uso nella Vienna del 1700 e la lettura di alcuni testi: l’ultima lettera di Mozart al padre, due sonetti di Michelangelo Buonarroti, ispirati al tema della morte ed alcune brani dal Libro delle Rivelazioni di San Giovanni nella sua descrizione dell’Apocalisse.

La sinfonia nr 1 in do maggiore Op 21 di Beethoven rappresenta il primo passo ufficiale del grande compositore tedesco nel colto ambito della musica sinfonica ed apparentemente si allinea con la tradizione classica rappresentata dai suoi illustri predecessori: Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Joseph Haydn su tutti. Nella forma e nella sostanza. Per la forma, Beethoven prende come modello le sinfonie londinesi di Haydn: l’adagio iniziale che precede il primo tempo, l’andante cantabile del secondo tempo, il minuetto al terzo tempo ed il travolgente finale al quarto tempo. Per la sostanza, ci sono richiami a temi musicali sia mozartiani che haydniani. Ad esempio, il tema del primo allegro che ricorda un po’ l’apertura della sinfonia nr 41 Jupiter di Mozart, il tema iniziale e le figurazioni ritmiche dei violini di accompagnamento del secondo tempo che ricordano l’andante della sinfonia nr 40 di Mozart. Il tema dell’allegro molto e vivace del quarto tempo che ricorda alcuni temi di Haydn. Ma è nei dettagli che si rivela già lo spirito ribelle ed innovativo di Beethoven: l’adagio del primo tempo per esempio, inizia con un accordo dissonante, ripetuto ben tre volte, una soluzione contraria alle “buone regole” dell’epoca. Sempre nel primo tempo, il secondo tema dell’allegro in contrasto con le consuetudini compositive previste per la sinfonia (forma-sonata) è trattato come una “comparsa” e, come già accadrà nel primo tempo della Quinta, quasi sparisce durante la fase dello sviluppo. Il minuetto è troppo turbolento per chiamarsi tale ed assomiglia già ad uno degli “scherzi” che saranno utilizzati nelle altre sinfonie. L’ultimo tempo, poi, in forma di rondò, con una coda finale che appare più ampia del previsto, rivela un altro aspetto compositivo tipico di Beethoven: stiracchiare le proporzioni classiche all’interno dei brani fino ad estreme conseguenze. Insomma ci sono tutte le premesse per quella insofferenza alle regole che porteranno Beethoven a “sforzare” le forme della sinfonia fino al limite estremo rappresentato dalla Nona, con lo stravolgimento nell’ordine classico dei tempi e l’impensabile aggiunta di un coro ad una composizione prettamente strumentale. Ottima la direzione di Honeck che ha saputo rendere al meglio l’idea compositiva che sta dietro a questa sinfonia.

Tre colpi di campana, molto fievoli, introducono l’inizio della seconda parte del concerto.

Questa seconda parte presenta il complesso di materiale musicale e letterario variegato a cui abbiamo accennato e contestualizza il Requiem stesso allo scopo tratteggiare il percorso tramite cui Mozart pervenne a questa sua ultima creazione. Il percorso di approccio alla musica sacra passa per il periodo salisburghese dei Vesperae Solemnes de Confessore con il loro stile incisivo e originale dovuto alle austere richieste dell’Arcivescovo Colloredo che non amando la musica sacra richiedeva la maggior brevità possibile dei brani musicali in ogni liturgia. Si passa poi per il rapporto con la Massoneria, che caratterizza gli ultimi anni di Mozart ed influisce sullo stile della sua musica in modo profondo. Si perviene quindi al Requiem, che sintetizza e conclude tutte le fasi precedenti, comprese quelle relative agli studi approfonditi sulle partiture di Bach e di Handel fornite gratuitamente al compositore dal Barone Gottfried Van Swieten, uno dei suoi più affezionati protettori a Vienna. Questi studi forniranno al grande salisburghese tutta la tecnica contrappuntistica che caratterizza le sue ultime composizioni.

L’idea che la morte sia una sorte inevitabile e rappresenti un’amica più che uno spettro terrorizzante è in sostanza il nucleo centrale della concezione mozartiana degli ultimi anni di vita. Già chiaramente presente in opere come il Flauto Magico, questa idea rappresenta il traguardo a cui perviene il compositore dopo i lutti e le sfortunate vicissitudini degli anni immediatamente precedenti la sua morte.

La rappresentazione in teatro ha visto la separazione fisica del coro dal resto dell’orchestra. Il coro è stato posto in alto, nelle gallerie per il pubblico situate nella parte posteriore della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica. L’effetto è incredibile: sia visivamente che a livello uditivo. Il coro sovrasta visivamente l’orchestra, quasi fosse un’allegoria di angeli che dall’alto diffondono il loro canto sui mortali, come indicato nei libri dell’Apocalisse. Dal punto di vista uditivo, da questa posizione sopraelevata la voce del coro ha un impatto maggiore sull’ascoltatore, quasi che la sua potenza ne risultasse aumentata, e la disposizione geometrica così ampia, da lato a lato delle gallerie, permette di seguire le dinamiche contrappuntistiche delle varie parti durante l’esecuzione stessa. Un’idea veramente incredibile nella sua semplicità. Honeck posiziona poi la tromba del Tuba Mirum al di sopra del coro stesso, quasi a rappresentare allegoricamente la discesa dal cielo di Dio durante il Giudizio Universale: il suono dello strumento discende dall’alto e invade completamente la sala, quasi che suonasse direttamente davanti ad ogni singolo spettatore: “per” ogni singolo spettatore. Il direttore sceglie, in modo drammatico, di porre il frammento incompiuto del Lacrimosa a completamento del requiem stesso. L’orchestra esegue il brano, di sole otto battute e termina in un fortissimo, interrompendo l’esecuzione là dove la mano di Mozart si è fermata per il sopraggiungere della morte imminente.

Solo la meravigliosa dolcezza dell’Ave Verum Corpus lascia lo spettatore quasi allibito dalla bellezza e dalla profondità di questo ultimo, piccolo gioello della produzione sacra mozartiana.

Per chi è appassionato della musica del grande salisburghese, questo è stato sicuramente un concerto straordinario, che andrebbe riascoltato più e più volte.

Altri tre fievoli colpi di campana segnalano infine la conclusione del concerto.

La direzione dell’orchestra e del coro, nonché del coro gregoriano della Schola del Pontificio Istituto di Musica Sacra, diretto da Franz Karl Prassi, è stata perfetta e curata in ogni dettaglio ed ha contribuito a far risplendere queste composizioni sacre di incredibile valore artistico. Anche il quartetto solistico del Requiem ha decisamente convinto, con voci piene e timbri ben amalgamati tra loro.

Una nota di merito anche per la voce narrante di Massimo Popolizio, che ha reso in modo assai efficace i vari testi, aggiungendo al concerto un prezioso contributo.