Recensioni - Cultura e musica

Roma: un ispirato Myung-Whun Chung fra Schubert e Rossini

Due grandi composizioni a confronto: la sinfonia incompiuta di Schubert e lo Stabat Mater di Rossini

Due sublimi composizioni a confronto, da due grandi compositori che in un certo senso vissero la propria vita guardando al passato più che al futuro. Nessuno dei due ha lasciato eredi, perché alla fine della loro vita oramai il mondo musicale era andato oltre. Ciò nonostante, hanno regalato al mondo dei capolavori immensi di cui dobbiamo andare fieri.

Rossini alla luce di Mozart e Schubert alla luce di Beethoven portarono avanti il proprio stile compositivo in modo tenace nonostante il vento del cambiamento del proprio tempo ed in qualche modo entrambi ne subirono conseguenze. Ma i posteri hanno saputo riconoscerne la grandezza in ogni caso.

Il concerto si è aperto con la grandiosa Sinfonia nr 8 in si minore “Incompiuta” D 759 di Franz Schubert, scritta nel 1822. Un capolavoro ma anche un mistero. Perché lasciarla incompiuta? Una domanda che ha tormentato storici, musicologi, artisti e tanti amanti della musica per molto tempo. Una domanda forse senza una risposta certa…Sappiamo che esiste lo spartito per pianoforte del terzo tempo, lo scherzo con il trio, ma appena un paio di pagine orchestrate. La motivazione più probabile per l’interruzione fu di tipo economico: nel 1822 venne commissionata a Schubert la composizione della Wanderer Fantasie che si rivelò assai remunerativa. E’ dunque immaginabile che il compositore si fosse prodigato nel concludere prima questa composizione tralasciando temporaneamente la sinfonia. Ma la morte lo coglierà prematuramente nel 1828, senza che fosse riuscito a scrivere il quarto movimento.

Il primo movimento, Allegro moderato, si apre con la bellissima frase dei violoncelli e dei bassi: un tema misterioso, quasi minaccioso con una melodia discendente. Segue poi un passaggio che forse è un piccolo tributo al Mozart della sinfonia nr 40, con le semicrome dei violini, il pizzicato dei bassi e l’accompagnamento dei fiati. Un’atmosfera di incertezza, che indugia, quasi non volesse andare avanti, fino a che l’intervento dell’orchestra piena e dei corni non passa alla tonalità maggiore ed introduce al secondo tema, una frase elegante e romantica enunciata dai violoncelli. Il Maestro ha saputo rendere i contrasti di atmosfera e di tonalità in modo eccezionale, giocando sul volume sonoro, sulla velocità di esecuzione, sulla incisività dell’alternanza tra i vari blocchi orchestrali, soprattutto i fiati e gli ottoni con gli archi. Dai palpiti iniziali alle sezioni centrali dello sviluppo dove i toni si alzano, con passaggi di complesso contrappunto e una tensione drammatica tra le varie sezioni dell’orchestra. Una direzione molto precisa ed attenta ai dettagli. Un grande lavoro di cesello.

Il secondo movimento, un Andante con moto in si maggiore. Questo movimento descrive un’atmosfera quasi natalizia con i suoi temi gioiosi, ma intimi. Una gioia controllata, che non si rivela completamente, raccontata dai pizzicati dei bassi, dal suono dei corni e dei flauti. Sembra creare un’aspettativa per qualcosa che dovrà avvenire. Un brano davvero meraviglioso che alterna momenti di serenità a episodi più drammatici e agitati. Queste diverse emozioni che il compositore descrive si alternano per tutto il brano e forse sono legate anche al periodo particolarmente delicato nella vita di Schubert alle prese con una malattia debilitante, difficoltà economiche e una insoddisfazione per il suo scarso successo come compositore. La direzione dell’orchestra è stata ancor più attenta a rendere tutte queste emozioni ed atmosfere contrastanti. giocando sui timbri ei vari strumenti e ancora una volta sul volume sonoro. Una grandissima prova davvero! Ha emozionato il pubblico, che ha reso omaggio con un applauso caloroso e numerose chiamate al termine di questo primo tempo del concerto.

La seconda parte del concerto è stata invece dedicata a d una delle pagine più mirabili del grande compositore pesarese: lo Stabat Mater per soli, coro e orchestra composta tra il 1831 ed il 1841. Fu eseguito per la prima volta nel 1842 a Parigi. Dopo il Guglielmo Tell del 1829, Rossini si ritirò dalla vita mondana e dal teatro, dedicandosi esclusivamente ad una vita ritirata dove vennero alla luce alcuni capolavori: Lo Stabat Mater, la Petite messe solennelle, le raccolte per pianoforte intitolate Péchés de vieillesse e Les Soirées musicales.

Lo Stabat Mater seguì una vicenda compositiva travagliata: la sua scrittura fu in qualche modo strappata ad un Rossini poco convinto da un amico spagnolo, il prelato Manuel Fernández Varela. Forse intimorito dal possibile confronto con la stupefacente versione di Pergolesi, Rossini non si era mai avvicinato a questo particolare testo sacro. Inizialmente scrisse qualche pezzo, ma senza troppa convinzione, fino a lasciare poi il resto ad un suo amico compositore, Giovanni Tadolini. La partitura fu quindi infine consegnata al prelato spagnolo, con la condizione che mai sarebbe stata eseguita né pubblicata. Per una serie di vicende Rossini fu poi costretto in un secondo tempo a rivedere tutta la partitura per arrivare alla versione definitiva del 1841.

Il coro iniziale si apre con una frase ascendente dei bassi e dei fiati. Appena un palpito, che si risolve poi nel tema vero e proprio affidato ai bassi. Dopo una drammatica introduzione orchestrale, entra il coro, che introduce con un movimento fugato la prima frase Stabat Mater dolorosa in alternanza con il quartetto dei solisti.

Il vero protagonista di questa composizione è il coro a cui Rossini dedica cinque numeri sui dodici previsti. E va una menzione particolare al Coro di Santa Cecilia, diretto dal Maestro Andrea Secchi, che ha davvero offerto una performance incredibile: in più di un’occasione ha fatto venire la pelle d’oca a più di uno spettatore, noi compresi.

Altri numeri affidati al coro che ci hanno colpito sono stati l’Eja Mater fons amoris, con coro a cappella e solisti, l’aria per soprano e coro Inflammatus e naturalmente il brano clou: Quando corpus morietur: davvero eccezionale, ha tenuto la sala col fiato sospeso. Il coro a cappella è stato eseguito in modo davvero impeccabile. Infine, l’Amen finale, una travolgente fuga con riproposizione del tema iniziale del coro e le ultime battute che richiamano le sonorità di Verdi. Davvero bravissimi, con un timbro perfetto, soprani, mezzosoprani, tenori e bassi, tutti bravissimi.

Anche il quartetto vocale si è distinto per qualità, capacità e timbrica. Il tenore Levy Sekgapane nella bella aria Cujus animam e nelle parti comuni agli altri solisti: un bel timbro vocale, una voce potente e una tecnica precisa sui passaggi più complessi. Ha sostituito il tenore Francesco Demuro per la recita a cui abbiamo assistito.

Bellissimo il duetto soprano / mezzosoprano Quis est homo. Le due artiste, Chiara Isotton e Teresa Iervolino, hanno reso davvero bene questo brano bellissimo, con le sue imitazioni, gli acuti, i botta e risposta tra le due parti, davvero bello.

Buona prova anche per il basso Adolfo Corrado nell’aria a lui dedicata, il Pro peccatis suae gentis. Una voce calda e potente, versatile e con un bel timbro. Ha davvero fatto una bella prova. Bello anche il quartetto Sancta Mater istud agas dove i solisti hanno dato prova di grande armonia e coordinazione sonora. E’ uno dei pezzi più belli dello Stabat Mater, a nostro avviso.

Un concerto davvero molto bello. Apprezzabile anche per aver dato risalto allo Stabat Mater che, come la Petite messe solennelle merita di essere rappresentato più frequentemente.

Speriamo che il Maestro Chung torni presto!