Recensioni - Cultura e musica

Romeo e Giulietta: ritorno vincente in Arena

Convince l’allestimento dell’opera di Gounod grazie ad una regia ricca di inventiva e ad una buona resa musicale

La stagione areniana 2011 ha chiuso con un titolo che, finalmente, esulava dal limitato repertorio che ormai da alcuni anni monopolizza le estati veronesi. Il Roméo et Juliette di Gounod infatti, a parte la parentesi al Filarmonico lo scorso anno, era stato qui rappresentato una sola volta nel 1977.
Ad onor del vero va detto che quest’opera sta godendo nell’ultimo periodo di una considerevole popolarità sui nostri palcoscenici, infatti oltre ai due recenti allestimenti veronesi vanno segnalate la ripresa alla Scala dello spettacolo di Salisburgo la scorsa primavera e le tre nuove produzioni rispettivamente di Bolzano, Genova e del circuito lombardo previste per il prossimo autunno-inverno.

Ad ogni modo possiamo dire di aver assistito probabilmente al miglior spettacolo in cartellone quest’estate, a riprova che, se realizzate nel modo giusto, anche proposte un po’ desuete possono rivelarsi vincenti in Arena.
Trionfatore della serata è stato il Roméo di Stefano Secco. Il giovane tenore, dalla voce limpida e chiara, si immedesima perfettamente nell’eroe romantico, crescendo in corso d’opera sino al trascinante duetto finale. Al suo fianco la Juliette di Nino Machaidze, pur uscendo dignitosamente, non raggiunge il livello del partner. La voce è un po’ piccola e non ha la morbidezza di emissione necessaria per i due grandi duetti, ed anche le agilità dell’aria del primo atto sono risolte in maniera un po’ sommaria. Anche nella sua performance però  va riconosciuto un sostanziale miglioramento nel prosieguo della recita.
Positive anche le prove del Mercutio Arthur Rucinski, che si è distinto nell’aria della Regina Mab e dello Stéphano di Ketevan Kemoklidze, mentre parecchie perplessità ha destato il settore delle voci basse rappresentato dal Frère Laurent di Giorgio Giuseppini, dal Capulet di Manrico Signorini e dal Duca di Verona di Deyan Vatchkov.
In buca Fabio Mastrangelo ha diretto in modo appropriato, centrando lo spirito romantico della partitura. Forse in alcuni casi ha ecceduto un po’ in enfasi ma non ha mai perso di vista la visione d’insieme.
La regia di Francesco Micheli si basava sull’idea del contrasto tra le due famiglie, mescolando alla   tradizione elementi di modernità, soprattutto negli sgargianti costumi “pop” di Sylvia Aymonino.
L’idea scenografica di Edoardo Sanchi si basava su un grande praticabile circolare che, aprendosi a metà, creava due tribune contrapposte in rappresentanza delle due famiglie in lotta tra loro. Questa idea era ripresa anche da due scritte alla base delle gradinate che separavano la fazione dei Capuleti da quella dei Montecchi, rispettivamente rappresentati dai colori giallo e blu, ovvero quelli del simbolo della città di Verona. In sostanza un’impostazione giusta e coerente in parte penalizzata da un “eccesso di inventiva” da parte del regista che, nel tentativo di movimentare la scena il più possibile, in alcuni casi ha introdotto elementi che poco e nulla aggiungevano allo spettacolo.
Un po’ kitsch ad esempio è sembrata la grande e variopinta bomboniera che rappresentava la cella di Frate Lorenzo, come decisamente brutti erano i catafalchi di ronconiana memoria su cui erano appollaiati Capuleti e il Duca di Verona. Più efficaci e contestualizzate invece la sfera di metallo entro la quale avveniva il combattimento tra Mercutio e Tebaldo e la bizzarra autovettura della Regina Mab. Interessante inoltre, anche se poi non vi sono stati sviluppi in corso d’opera, l’idea di far entrare le comparse in platea  prima del preludio a rievocare l’atmosfera di uno stadio, quasi lo spettacolo cui si andava ad assistere fosse una vera e propria competizione tra antagonisti.
Al termine il pubblico che riempiva per buona parte l’anfiteatro ha risposto in maniera convinta e calorosa con punte di entusiasmo rivolte ai protagonisti, a riprova che anche in Arena il titolo è importante, ma non così vincolante come ci si vuole far credere.
Ci è permesso in conclusione un suggerimento in vista della (meritata) ripersa dell’anno prossimo? Ridurre da due a un intervallo ed inserire anche il balletto: la durata sarebbe pressoché la stessa (anzi probabilmente inferiore) e lo spettacolo ci guadagnerebbe ulteriormente. 

Davide Cornacchione 20 agosto 2012