Recensioni - Cultura e musica

Sapiente regia e entusiasmo giovanile in una Turandot da vedere

Interessante allestimento di Turandot della Fondazione Arena in collaborazione con l’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia.

Turandot è opera che vive di contrapposizioni frontali e drammatiche: l’amore autodistruttivo di Liù e la negazione narcisistica della “principessa di gelo”, il triste esilio e la superba lotta per la riconquista del potere in Calaf, le teste mozzate dei sovrani che hanno fallito e la vittoria del “principe ignoto”, la luce fredda della luna e le “mani brucianti” nel bacio che scioglierà Turandot. Ma in quest’opera la dissonanza trionfa anche nell’accostamento fra la deriva atonale del linguaggio musicale scelto da Puccini e il suo consapevole recupero filologico di schemi formali del teatro musicale ottocentesco.

Anche nell’allestimento andato in scena ieri al Teatro Filarmonico di Verona le cose migliori sono arrivate dal felice incontro di due opposti: l’esperienza del grande regista veronese Gianfranco de Bosio (qui coordinatore alla regia, alle scene e ai costumi) e il giovanile entusiasmo del cast selezionato dall'Istituto Internazionale per l'Opera e la Poesia fra cantanti emergenti sulla scena internazionale. Ne è nata una Turandot essenziale, la cui scena era dominata da un’imponente scalinata e un praticabile che ben si sono prestati all’ambientazione novecentesca dell’azione.

Dal punto di vista teatrale, il momento migliore si è avuto nel primo quadro del secondo atto, quando Ping, Pang e Pong si sono mossi efficacemente nei panni di uomini d’affari della Shanghai degli anni ’30. Divisi fra i lussi che il potere assicura e la nostalgia per la tranquilla vita lontana dalla corte, i tre ministri hanno interpretato con chiarezza una delle tante antinomie di cui si nutre lo svolgimento drammaturgico dell’opera. Bella ed efficace è risultata anche la scenografia del terzo atto, dominata da mandorli in fiore, simbolo della bellezza femminile di Turandot che si schiude ai sentimenti.

Dal punto di vista musicale, va riconosciuto al direttore Antonio Pirolli il merito di aver tenuto insieme uno spettacolo incentrato su un cast molto eterogeneo, sia come provenienza geografica che come resa vocale. Fra tutti gli interpreti, ha convinto molto il vicentino Luca dall’Amico nel ruolo di Timur, a cui ha dato dignità dolente, esibendo una bella voce e una buona tecnica. La coreana Jaeeun Lee ha indovinato l’aria “Tu che di gel sei cinta” strappando i consensi più aperti del pubblico (che le ha perdonato la staticità recitativa); l’esperienza le permetterà di mettere meglio in risalto una voce comunque promettente. Risulta più difficile valutare la prova dei due protagonisti. Francesco Anile è sembrato impacciato e privo del necessario vigore nel ruolo di Calaf, peraltro recentemente ricoperto - pur senza brillare - con esiti decisamente migliori. La giapponese Ogawa Satomi, nel ruolo eponimo, ha mostrato difficoltà di volume nel registro più basso (spesso sovrastata dall’orchestra) ma anche grande qualità in zona acuta. Fra i tre ministri va citato il bravo e convincente tenore ragusano Enea Scala (Pang). La prova del Coro dell’Arena di Verona diretto da Marco Faelli è stata precisa e puntuale e il pubblico ha applaudito con simpatia la partecipazione dei bambini del coro di voci bianche A.Li.Ve. diretto da Paolo Facincani.

Complessivamente possiamo dire di aver assistito a uno spettacolo che, pur con qualche comprensibile limite, ha proposto diversi spunti interessanti. Sorprende che questa Turandot sia sfuggita al pubblico veronese - solitamente molto attento - che ha lasciato troppi posti vuoti.

Tommaso Lavegas (28/01/2009)