Recensioni - Cultura e musica

Scintillanti Pagliacci al Filarmonico

L’allestimento di Franco Zeffirelli caratterizzato da una grande, e forse eccessiva, ricchezza di scene e costumi

Vero è, a voler essere pignoli,che proporre Pagliacci da solo non è del tutto sufficiente a fare serata ed anche l’inserimento dell’intervallo, tanto per allungare la presenza in teatro, non è soluzione delle più pertinenti. Però in questi tempi, in cui si fa sempre più fatica ad organizzare stagioni che siano plausibili ed in cui allestire un nuovo titolo è impresa sempre più impegnativa, gli applausi convinti con cui ha risposto il pubblico a questa proposta sono stati più che meritati.
Questa nuova produzione della Fondazione Arena riprendeva l’allestimento che il regista fiorentino ha già presentato su importanti ribalte quali New York, Genova, Atene e che ambienta la vicenda all’inizio degli anni ‘50.
All’apertura del sipario siamo stati catapultati nella periferia di una cittadina del sud Italia nell’immediato dopoguerra, caratterizzata da un imponente casamento a schiera popolato da una rutilante e variopinta umanità. Il viavai di persone sulla piazza, prima e durante l’arrivo dei pagliacci era sì coloratissimo ma anche un po’ frastornante. Come sua abitudine Zeffirelli, regista e scenografo, non è riuscito a contenere il suo “horror vacui” ed ha quindi stipato la scena di ogni tipologia di carattere possibile (compreso il contadino con l’asinello),  rendendo spesso confuso e fumoso quanto accedeva davanti ai nostri occhi.
Una volta scemata la folla lo spettacolo è proceduto nei canoni di una solida tradizione, sfoggiando una ricchezza di scenografie e costumi (questi ultimi di Raimonda Gaetani) che, se da una parte appagava decisamente l’occhio dall’altra strideva con l’idea di difficoltà ed indigenza che questi comici girovaghi dovrebbero ispirare.
Ad ogni modo il pubblico si è lasciato trasportare ed ha apprezzato molto l’insieme grazie anche ad una buona resa musicale della partitura.
Il Canio di Rubens Pellizzari ha esibito un bel timbro lirico ed estrema facilità negli acuti. Accattivante anche il fraseggio nonostante il personaggio mancasse di quella rozza brutalità che lo dovrebbe contraddistinguere. Meno convincente  la Nedda di Amarilli Nizza: la voce non è limpida e spesso richiede forzature che ne penalizzano la linea di canto. Estremamente positiva invece la prova di Alberto Mastromarino nel ruolo di Tonio.  La voce è piena e corposa e l’interprete è sempre efficace sulla scena. Ottimo anche il Peppe di Paolo Antognetti mentre il Silvio di Devid Cecconi risente di una voce  ingolata ed un’emissione tutt’altro che impeccabile.
Dal podio Julian Kovatchev non ha aiutato particolarmente i cantanti, tenendo sempre il volume dell’orchestra troppo alto e costringendoli in più occasioni a forzare per non correre il rischio di essere coperti.
Buona la prova del coro nonostante qualche scollamento con la buca nella scena iniziale.
Gustoso il dopo spettacolo in cui un gruppo di veri saltimbanchi è sceso in platea giocando e scherzando con il pubblico che, terminati gli applausi, si è intrattenuto ancora qualche minuto in teatro godendo di un ulteriore spettacolo fuori programma.

Davide Cornacchione 29/02/2012


Sarà perché era una domenica pomeriggio, sarà perché Pagliacci è un titolo di grande repertorio, sarà perché una regia firmata Zeffirelli costituisce sempre un elemento di richiamo per il pubblico, ad ogni modo alla replica del capolavoro di Leoncavallo di domenica 29 gennaio il Teatro Filarmonico  si presentava pieno come non accadeva tempo all’interno della stagione lirica.