Recensioni - Cultura e musica

Shostakovich e Beethoven in concerto all’Auditorium Parco della Musica di Roma

Autori diversi a confronto nel concerto di venerdì 27 maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma: Ludwig van Beethoven e Dmitri Shostakovich, con la direzione del Maestro Jaap van Zweden.

Il concerto è iniziato con l’esecuzione della Sinfonia nr 5 in re minore Op.47 di Dmitri Shostakovich, una delle più eseguite e note dell’autore russo. Il compositore visse il pieno periodo del socialismo sovietico, avendo con esso per molto tempo un rapporto travagliato a causa della condanna per aver composto musica non in linea con le aspettative del regime. Successe per ben due volte: nel 1934 in seguito alla rappresentazione dell’opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk e nel 1948 con accuse dirette in generale alla sua produzione musicale, espresse direttamente da organi ufficiali del Partito Comunista. La prima condanna fu emanata a mezzo stampa sulla Pravda il 28 gennaio 1936 con un articolo anonimo dal titolo inequivocabile: “Caos invece che musica”. Con riferimento alla Lady Macbeth, che pure ebbe un enorme successo sia in URSS che nei principali teatri occidentali, l’anonimo critico (che alcuni ricondussero direttamente a Stalin) accusava il musicista di aver prodotto un’opera apolitica, caotica e pervertita. Questo articolo provocò l’immediata cancellazione da tutti i teatri nazionali sovietici della Lady Macbeth. Nei mesi successivi, diversi articoli sui giornali nazionali stroncarono altri importanti lavori di Shostakovich, come il Concerto per pianoforte, i Preludi, il balletto Il rivo chiaro. Questi articoli furono poi confermati da importanti artisti e musicisti di regime, il che portò l’autore al limite del suicidio. Fu solo l’intervento di Stalin in persona a evitare il peggio: minimizzando queste critiche egli convinse il musicista a proseguire con la sua attività artistica, con il consiglio di prestare più attenzione alle musiche tradizionali e ai canti popolari.

È in questo clima di estrema pressione psicologica che Shostakovich, per non incorrere in ulteriori censure da parte del regime sovietico (o peggio, sparire per sempre, come accadde a molti in quel periodo, per via delle purghe staliniane), a pochi giorni dalla prima rappresentazione della grandiosa e complessa Sinfonia numero quattro, decise di ritirarne la partitura annullandone di fatto le rappresentazioni in programma. Fu eseguita pubblicamente per la prima volta soltanto il 30 dicembre 1961!

Accantonata la quarta sinfonia, il musicista iniziò velocemente a lavorare alla Quinta, anche per rispondere in qualche modo alle critiche del regime. La sinfonia fu composta in poco più di tre mesi, verso l’estate del 1937. Fu presentata al pubblico come la “Risposta ad una giusta critica” il che non solo riabilitò in parte il compositore agli occhi del regime e del pubblico, ma gli salvò anche la vita. Fu anche un enorme successo sia nazionale che internazionale: tutt’oggi è una delle sue composizioni più eseguite.

In quattro tempi, il primo movimento si apre con un tema in tonalità minore esposto in forma di canone. Il secondo tema è invece a contrasto col primo, seguendo il classico modello della forma sonata, anche se la parte dello sviluppo risulta molto complessa. Attraverso un primo climax orchestrale che porta ad una sezione molto rimata, una marcia, si affronta un secondo climax che porta alla conclusione del movimento, con la celesta che suona per tre volte una scala cromatica ed introduce il secondo movimento: un valzer di ispirazione mahleriana, il cui tema è suggerito da un inciso melodico del primo tempo. Il largo seguente, composto in soli tre giorni, vede l’orchestra riconfigurata in modo insolito, con la suddivisione dei violini in tre gruppi, le viole e i violoncelli in due, mentre i contrabbassi suonano all’unisono. Anche in questo movimento, la celesta accompagna le ultime battute per arrivare ad introdurre il quarto movimento, un allegro moderato, che risulta suddiviso in quattro sezioni. Questo ultimo movimento, a detta dell’autore stesso, è una ottimistica riposta a tutti i momenti tragici dei precedenti e rappresenta la piena maturità della crescita dell’uomo, potendosi vedere i primi movimenti come una metafora della vita umana. È uno dei lavori più noti ed eseguiti del compositore russo. La direzione del Maestro Zweden, energica e vigorosa, ha saputo trascinare il pubblico in una sorta di crescendo fino alle battute conclusive finali, seguite da un appaluso scrosciante.

Le vicende che portarono al tormentato compimento della Quinta sinfonia di Ludwig van Beethoven, tema della seconda parte del concerto, sono altrettanto tragiche per l’autore, come quelle che spinsero Dmitri Shostakovich ad “abiurare” la sua quarta sinfonia e a scrivere la quinta per affrontare la durezza della censura del regime sovietico.

La Quinta sinfonia ha avuto la gestazione più lunga tre le nove di Beethoven. I primi abbozzi risalgono alla stesura della Terza, per cui attorno al 1804, per poi intrecciarsi con la composizione della Sesta. La partitura manoscritta appare un campo di battaglia: correzioni, cancellazioni, macchie di inchiostro. Siamo bel lontani dalle partiture immacolate di Mozart che scrive quasi di getto. In effetti le due sinfonie furono eseguite per la prima volta assieme, in un lunghissimo concerto del 22 dicembre 1808, al Theater an der Wien, che vide l’esecuzione di molte altre composizioni, tra le quali il Concerto per pianoforte numero quattro, il Gloria ed il Sanctus della Messa Op. 86, la Fantasia per pianoforte Op. 77, la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra Op. 80. Un concerto che fu accolto in modo piuttosto freddo, sia per la durata eccessiva, che per la temperatura molto rigida del teatro stesso. La partitura fu invece pubblicata da Breitkopf & Härtel di Lipsia nel 1809, con pressante preghiera di Beethoven perché fosse inclusa nello stesso volume anche quella della Messa Op.86.

La vita del compositore in questi anni è sconvolta dalla scoperta della inesorabile ed inarrestabile sordità, che lo metterà di fronte alla tragedia più grande. Beethoven spesso si scaglierà contro il destino che maligno lo condanna alla disperazione. Se l’inizio della sua carriera come compositore a Vienna lo vede come abilissimo improvvisatore al pianoforte e come autore di musiche che si innestano nel solco della tradizione, come le prime due sinfonie ed il Quintetto per pianoforte e fiati (ispirato in tutto e per tutto a quello di Mozart), per citarne alcune tra le più rilevanti, la consapevolezza della malattia stravolge completamente ogni suo sogno e progetto per il futuro e lo spinge a intraprendere una strada completamente nuova e “rivoluzionaria”. La famiglia, l’amore, la carriera, la casa e la posizione sociale… Tutto viene travolto e la pressione psicologica, la disperazione e la rabbia per questo crudele destino ineluttabile lo spinge oltre il limite. Beethoven si rende conto di poter diventare un compositore completamente fuori dagli schemi, poiché la sua vita è andata in pezzi completamente e gli schemi ordinari non hanno più senso per lui.

Nasce così l’idea del “destino che bussa alla porta”, il tema di apertura del primo movimento. Fu lo stesso autore a confessarne il significato fuori dalla metafora musicale, in una intervista. Il primo tempo inizia col famoso unisono orchestrale in do minore: cinque note ripetute muovendosi da tonica a settima di dominante. Tutto il primo tempo, privo della tradizionale introduzione lenta di stampo haydniano, si sviluppa su questo primo tema, che compare come accompagnamento anche del secondo tema in mi bemolle maggiore a contrasto. Secondo tema che, come spesso accade nelle sinfonie di Beethoven è poco più che un pretesto compositivo per impiegare lo schema della forma sonata e pertanto viene poi poco utilizzato nella fase dello sviluppo. Il secondo movimento è un andante per variazioni in la bemolle maggiore a “schema libero” nel senso che Beethoven si prende la libertà di inserire anche un secondo tema da variare, alternandolo al primo, che comunque resta il “principale” essendo quello con maggior numero di variazioni. Anche in questo secondo movimento, nei dettagli dell’accompagnamento, fa capolino il tema del destino che bussa alla porta, sebbene trasfigurato, ma sempre ben udibile in secondo piano. Il terzo movimento si innesta al termine del secondo senza soluzione di continuità. È uno scherzo basato su due temi: uno inziale che introduce un’atmosfera misteriosa ed un secondo breve ed incisivo (una variazione sul tema del destino che ancora una volta si ripresenta). La parte centrale dello scherzo, il trio, è affidata ad un robusto e travolgente fugato. Al termine del trio segue un tratto caratterizzato da un pianissimo. Un lungo pedale, molto scenografico, sottolineato dal palpito del timpano e dal pianissimo degli archi: l’orecchio si prepara ad un cambio tonale, in qualche modo suggerito dal pedale stesso, ma senza riuscire a predire su quale tonalità si atterrerà. Uno dei passaggi ad effetto più straordinari di Beethoven. Dal pianissimo, si passa ad un rapido crescendo orchestrale che vede unirsi tutti gli strumenti fino all’esposizione del tema dell’ultimo movimento: la trasfigurazione in chiave maggiore del tema del primo movimento, il trionfo della fermezza morale e della gioia sul destino cupo dell’uomo. Un concetto che compare spesso nella musica di Beethoven a partire dalla Quinta e che culminerà nel trionfo dell’inno alla gioia della Nona.

Alla direzione, incisiva e vigorosa ma anche flessibile e minuziosa, il Maestro van Zweden, uno dei direttori più quotati al mondo: olandese di nascita, è attualmente il direttore dell’Orchestra Filarmonica di Hong Kong, della New York Philarmonic Orchestra e dell’Orchestra di Dallas.

Un grazie anche all’orchestra che ha dato come sempre dimostrazione di grande perizia e tecnica esecutiva: sicuramente un concerto molto interessante.