Recensioni - Cultura e musica

Sokolov: l’imprevedibile prevedibilità

Haydn e Beethoven protagonisti dello straordinario concerto del pianista russo al Filarmonico.

I concerti di Grigory Sokolov sono, almeno sulla carta, estremamente prevedibili. Si conosce il programma con largo anticipo, dato che, una volta definito, non muta più nel corso dei tre mesi di tournée e si sa già che i bis saranno immancabilmente sei, all’interno dei quali verranno proposti alcuni brani che potrebbero anticipare la scaletta della tournée successiva. L’imprevedibilità nei suoi concerti risiede invece nell’interpretazione. Sokolov ha uno stile assolutamente personale e le sue esecuzioni, frutto di uno studio meticoloso e di una frequentazione assidua in sala da concerto, sono originalissime e tutt’altro che ordinarie.


Il concerto presentato al Teatro Filarmonico, come appendice straordinaria del Settembre dell’Accademia, caratterizzato dalla presenza di sole sonate per pianoforte in tonalità minore, per una curiosa coincidenza cabalistica era racchiuso nel numero 32. Si apriva infatti con la sonata n. 32 in sol minore di Franz Josef Haydn e si concludeva con la sonata n. 32 in do minore di Ludwig Van Beethoven, toccando idealmente l’alfa e l’omega di questo repertorio.
Delle tre sonate numero 32, 47 e 49 di Haydn che costituivano la prima parte del programma, considerate come le prime della maturità del compositore austriaco, Sokolov ne ha dato una lettura sostanzialmente romantica, agogica nella scelta delle dinamiche e attenta alla ricerca del particolare nei singoli passaggi. Raffinatissima come sempre la ricerca timbrica e sonora che si è manifestata in un’interpretazione di grande eleganza.

La seconda parte, interamente dedicata a Beethoven si è aperta con un’esecuzione mirabile della sonata n.27 in mi minore di Beethoven, in cui Sokolov ha toccato tutte le possibilità espressive della tastiera fondendo i due movimenti in un continuum senza soluzione di continuità. Ma è stato nella sonata n. 32 in do minore che il pianista russo ha suggellato definitivamente la sua grandezza. Alle atmosfere corrusche del primo movimento ha fatto seguito un’Arietta di rara bellezza, in cui le atmosfere metafisiche dell’ultimo Beethoven sono stare esaltate da un virtuosismo mai fine a sé stesso. I tempi si dilatano, il tocco si impreziosisce ma non c’è mai autocompiacimento, quanto piuttosto una cura meticolosa al servizio della musica e della ricerca dell’espressività.
Catartici e liberatori gli applausi al termine di questa meraviglia sonora, accompagnati, come d’abitudine, dagli immancabili bis che hanno avuto come protagonista  Fryderyk Chopin.

Davide Cornacchione 20 novembre 2017