Recensioni - Cultura e musica

Straordinario Presbytère di Béjart al Teatro Regio di Parma

La stagione che propone il Teatro Regio di Parma si è aperta in maniera spettacolare. Al primo appuntamento di balletto il teatro ...

La stagione che propone il Teatro Regio di Parma si è aperta in maniera spettacolare. Al primo appuntamento di balletto il teatro era esaurito; il pubblico entusiasta al termine dell’esibizione dei meravigliosi ballerini di Béjart, fatto che peraltro credo si ripeterà anche per tutti gli altri eventi in programma.
Béjart è Béjart, talvolta serio, talvolta semiserio e talvolta addirittura esilarante, ma mai uguale a se stesso. Figlio di un filosofo, i contenuti dei suoi balletti hanno sempre un filo conduttore più o meno impegnato, mai banale. Il titolo per esteso di questo capolavoro coreografico “Le Presbytère n’a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat” è tratto dal libro Le Mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux. Béjart scelse questo titolo perché desiderava un titolo che non ricordasse nulla e questa frase è semplicemente la parola d’ordine del detective Routetabille, ma è affascinante, poeticamente bella e soprattutto musicale.
Lo spettacolo studiato su musica dei Queen e su qualche pagina di Mozart vuole rappresentare il senso di angoscia della gioventù che muore non solo per l’odio che genera le guerre; Béjart vuole esprimere infatti anche il disagio di una gioventù che si ammala e muore di AIDS a causa dell’amore. Il motto degli anni ’70 “fate l’amore, non la guerra” diventa il motto di tutti questi uomini che però urlano a gran voce: “Voi ci avete detto: fate l’amore, non la guerra. Noi abbiamo fatto l'amore, ma perchè l’amore ha fatto la guerra a noi?”.
Questo balletto venne creato da Béjart nel 1997 in seguito alla prematura scomparsa del suo ballerino più amato, Jorge Donn. Scrive Bejart: “Era poco prima o forse poco dopo la morte di Donn. Freddie Mercury e Donn sono morti alla stessa età. Erano due personalità molto diverse, caratterizzate tuttavia dalla stessa grinta e dalla stessa voglia di vivere e di mettersi in mostra… Accanto ad alcuni brani dei Queen metterò qualche pezzo di Mozart… Anche Mozart è morto in giovane età, a 35 anni, dieci prima degli altri due: Freddie e Donn sono morti a 45 anni “.
Ma questo non è un balletto sulla morte, anzi se Béjart non l’avesse scritto a chiare lettere forse non ce ne saremmo nemmeno curati e la danza e lo show, perchè di questo in fondo si tratta (“The show must go on” – Queen), sarebbero passati in primo piano rispetto al messaggio che il balletto vuole trasmettere.
Lo spettacolo inizia sul brano “It’s a beautiful day” e finisce su “The show must go on” con tutti i ballerini, un quarantina circa e tutti giovanissimi, sul palco sdraiati e coperti con un lenzuolo bianco, con l’idea del cadavere coperto. Piano piano, inizialmente uno per volta, poi a piccoli gruppo si mettono seduti scoprendosi il viso fino ad alzarsi e a lanciare il lenzuolo in aria tenendolo per un angolo, gesto che diverrà il leitmotiv dell’intero spettacolo. Lo spettatore viene coinvolto con fasci di luci che si accendono in sala o che partono dal proscenio e vengono diretti verso il pubblico.
Il susseguirsi di pezzi musicali diventa ogni volta motivo di novità a cominciare dagli splendidi costumi creati appositamente per questo balletto da Gianni Versace. Talvolta i ballerini stessi introducono verbalmente il titolo (oppure ci danno l’indizio) del brano successivo dicendo: “It must be heaven for everyone” , “I love you”, “Magic”, anche se il motto più spesso ripetuto è “Ohohoh yes”.
Le “invenzioni” béjartiane vanno dal semplice utilizzo del lenzuolo ai lettini con le rotelle usate negli ospedali con gli infermieri che li spingono, alle zeppe o cubi altissimi posti sotto le calzature, oppure l’uso di barre in similmetallo opportunamente curvate dentro cui rotolano alcuni danzatori, alle radiografie ingrandite ed appese di una cassa toracica, una calcagno ed una mano, al gioco di cuscini e piume sino ad una scatola con 4 pareti che arriva a contenere fino a 16 ballerini, tutti e solo rigorosamente uomini (una sorta di dark room? Forse…).
I passaggi musicali dai Queen a Mozart non sono e non vogliono essere addolciti lasciando spesso un senso di ansia e sbigottimento nello spettatore. Béjart riesce anche a calibrare gli applausi, ovvero riesce ad ottenerli quando lo desidera, come dopo “Sea side rendez-vous”, mantenendo la tensione in crescendo e l’attenzione sempre viva ed attenta.
Che dire dei ballerini: ovviamente tutti dotatissimi, ma anche molto lavorati. Un corpo di ballo che si può veramente definire tale e che è capace, anche di piccoli gesti, di eseguirli all’unisono, come quando all’inizio sono sdraiati sul fianco ed iniziano ad alzare il braccio partendo dal gomito.

Sonia Baccinelli giovedì 21 ottobre 2004