All’Auditorium Parco della Musica di Roma tre serate dedicate alla meravigliosa messa di Bach, l’ultima terminata pochi mesi prima della morte del compositore
Con la direzione del Maestro Reinhard Goebel (in sostituzione del Maestro Semyon Bychkov, assente per un infortunio), l’Auditorium Parco della Musica ha dedicato tre serate a questa superba composizione, entrata tra l’altro dal 2015 nel Registro della Memoria del Mondo dell’UNESCO. La prima serata è stata inoltre ripresa in diretta su RAI 3.
La direzione del Maestro è stata di notevole livello: ha saputo rendere davvero memorabili le pagine di questa ampia composizione, presentando un concerto straordinario. L’esecuzione è avvenuta con strumenti moderni, forse l’unico (piccolo) difetto che avrebbe donato quel tanto in più per renderla perfetta.
La precisione dell’esecuzione, la coordinazione del coro, la consistenza dei passaggi contrappuntistici, la resa dei dettagli timbrici impiegati da Bach nelle arie e nei duetti, ad esempio con la scelta, degli strumenti solistici di accompagnamento, sono state valorizzate in modo impeccabile rendendo straordinario questo concerto.
Importante in questa esecuzione è stata la preparazione del coro a cura del Maestro Andrea Secchi: un eccellente lavoro soprattutto se si considera che esso sostiene con ben diciotto numeri su ventisette totali il maggior peso della composizione, affiancato da sole sei arie e tre duetti.
Passando in rassegna alcuni dei numeri più interessanti, ecco alcuni dei brani che vorremmo segnalare. Per quanto riguarda i brani affidati al coro, la qualità tecnica e la perizia esecutiva degli artisti del Coro di Santa Cecilia, assieme anche all’orchestra, hanno reso questa rappresentazione davvero memorabile. A cominciare dal Kyrie con cui si apre la messa, una grandiosa e bellissima fuga eseguita in modo impeccabile, il Gloria, che con il tripudio di trombe e timpani ha scosso la sala. Il magnifico Cum Sancto Spiritu, con le sue ardite transizioni armoniche e la fitta trama contrappuntistica ha impressionato per la sua originalità e difficoltà esecutiva. Il Confiteor, con l’eleganza dello stile “antico”, l’introspezione del Crucifixus con le sue linee armoniche cristalline e l’accompagnamento appena accennato dell’orchestra, il monumentale Sanctus, forse il coro più bello della messa, e per finire i due cori “gemelli”, il Gratias agimus tibi e il Dona nobis pacem, entrambi adattati dal medesimo coro della Cantata BWV 29 “Wir danken dir, Gott, wir danken dir”, con il magnifico climax ascendente rinvigorito al suo apice dalle trombe e dai timpani.
Passando invece al consueto quartetto vocale barocco dei solisti, soprano, contralto (o controtenore nelle edizioni filologiche), tenore e basso, la soprano Damiana Mizzi (in sostituzione della infortunata Miriam Kutrowatz) ha dato prova di grande capacità esecutiva e tecnica specifica per il canto barocco, con un bel timbro chiaro e deciso e buona agilità nei passaggi virtuosistici. Il contralto Catriona Morison ha mostrato a sua volta grande bravura ed un buon timbro vocale. Nei due duetti che le vedono protagoniste, il Christe Eleison ed il magnifico Et in unum Dominum, hanno saputo trovare un equilibrio perfetto tra le due parti dialoganti e mostrato grande tecnica per l’ineccepibile resa del contrappunto. Anche nelle arie da soliste hanno peraltro dimostrato grande bravura. Il tenore Benjamin Bruns ha mostrato un buon fraseggio e un bel timbro sia nel duetto con il soprano Domine Deus che nella sua unica aria, il Benedictus, mirabilmente accompagnato dal flauto traverso. Il basso, Christian Immler, si è ben cimentato nella sua bellissima aria per corno, fagotti e basso continuo Quoniam tu solus Sanctus (anche se con qualche incertezza, dovuta ad alcune imprecisioni da parte del corno) e la dolcissima Et in Spiritum Sanctum con l’accompagnamento degli oboi d’amore obbligati.
Nel corso della rappresentazione non solo i solisti del quartetto, ma anche gli strumentisti che di volta in volta hanno accompagnato le varie arie e duetti, si sono portati di fronte all’orchestra per una migliore resa sonora ma anche per “presentarsi” al pubblico: una scelta inconsueta, molto apprezzata.
Insomma un grande concerto, con una buona presenza di pubblico che ha riempito la quasi totalità della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium. La conduzione dell'orchestra è stata all’insegna della tradizione, con qualche cenno di originalità, come l’incipit del Kyrie a velocità sostenuta e come sempre la qualità degli esecutori, del coro e dei solisti ha caratterizzato un’esecuzione memorabile.
Gli applausi lunghi ed intensi al termine hanno testimoniato l’apprezzamento da parte del pubblico, che pensiamo abbia condiviso il nostro entusiastico giudizio sulla serata.
Sarebbe bello anche in Italia suonare un po’ più di Bach ed ascoltare concerti così belli.
Alcune note storiche
La genesi della Messa in si minore BWV 232 è complessa e diluita nel tempo. Bach si dedicò alla sua composizione forse a partire dagli anni 20 del 1700, sfruttando anche un periodo di malattia che lo costrinse a letto per qualche tempo. Selezionando diversi brani da precedenti composizioni sacre, ne iniziò una ciclopica opera di revisione e adattamento arrivando ad assemblare una prima porzione della messa costituita dal Kyrie e dal Gloria. Questa prima versione ridotta fu diretta da Bach nella chiesa di San Tommaso di Dresda e successivamente inviata a titolo autopromozionale all’Elettore di Sassonia Federico Augusto II nel 1733 con la speranza forse di un nuovo impiego più prestigioso.
I lavori di completamento della partitura ripresero poi a partire dal 1740 per terminare nel 1749, un anno prima della morte del grande compositore.
Sappiamo per certo che la messa non fu mai eseguita nella sua versione definitiva stante Bach in vita e questo ha aperto un dibattito tra gli studiosi sulla sua destinazione d’uso finale, nelle intenzioni del compositore. Una ipotesi è che Bach pensasse di eseguire la nuova versione della partitura per l'inaugurazione della Chiesa di Corte di Dresda, avvenuta in effetti nel 1751, un anno dopo la sua morte.
Un’altra interessante teoria, suffragata anche da notazioni scritte da Bach stesso al termine della partitura, è legata invece all’idea che la messa debbe essere considerata come un’opera ad uso enciclopedico, uno studio, un esperimento sullo stile della musica sacra e non fosse quindi destinata alla rappresentazione di per sè. Un po’ come l’Arte della Fuga, l’Offerta Musicale, le Variazioni Canoniche per organo, tutte composizioni scritte negli ultimi anni, tra il 1740 ed il 1750.
La prima esecuzione completa della messa risale in ogni caso al 1859, più di un secolo dopo la morte di Bach. Il manoscritto autografo del 1749 è oggi conservato nella Biblioteca di Stato di Berlino.