Nell’ambito dei festeggiamenti dell’anno verdiano il Teatro alla Scala ha ospitato la Wiener Staatsoper con una sua produzione del...
Nell’ambito dei festeggiamenti dell’anno verdiano il Teatro alla Scala ha ospitato la Wiener Staatsoper con una sua produzione del maestro di Busseto “Jérusalem”, ovvero i Lombardi alla Prima Crociata riadattati su libretto francese nel solco della tradizione del Grand Operà.
La storia narra di un’intricata vicenda di gelosia e di pentimento ascetico che si dipana fra i palazzi del Conte di Tolosa, le montagne della Palestina e l’Harem dell’Emiro di Ramla. All’intrico narrativo fa da sfondo il medioevo delle crociate con tanto di cavalieri, mori e pellegrini in viaggio verso la terra santa. Il rischio di tali messe in scena è sempre quello dello stereotipo oleografico, oppure del bozzettismo di maniera. Con nostra grande soddisfazione il regista Robert Carsen, aiutato dalle sobrie scene e dai bei costumi di Michael Levine, è riuscito ad evitare entrambe le cose inquadrando la rappresentazione in un’ampia stanza vuota che, con l’aggiunta sapiente di pochi particolari, si trasformava in modo efficace nei vari ambienti richiesti dall’opera. Così un sipario a forma di croce inquadrava l’inizio di ogni atto, tanti piccoli modellini di chiese dorate sparse per il palcoscenico rimandavano all’opulenza dell’Europa da cui partivano le crociate, tappeti e delle lanterne pendenti a forma di cerchio creavano il serraglio in cui gli arabi completamente vestiti di bianco sedevano in meditazione con un effetto di rara suggestione.
La croce era il filo conduttore utilizzato da Carsen, croce che è motivo di pentimento e di ascesi per Roger il protagonista dell’opera, ma che soprattutto diviene onnipresente simbolo di violenza e di prevaricazione, diventando una croce infuocata di vendetta prima della battaglia contro i mori e una croce di cadaveri di infedeli sgozzati al centro della quale campeggia il legato papale nell’estremo finale. Carsen è riuscito in questo modo a dare una lettura moderna di un’opera che francamente risente del tempo che passa e forse di un Verdi non al meglio della sua produzione. Molto efficaci anche i movimenti del coro, in cui Carsen è maestro, poiché evita puntigliosamente di lasciare i coristi immobili in pose da presepio, ma riesce sempre ad inventare situazioni credibili e soprattutto in sintonia con la musica. Così durante il primo atto tutto il coro si fa dipingere una croce sulle corazze guerriere, mentre nella scena in cui Gaston viene disonorato il coro si muove lentamente in maniera circolare intorno al colpevole.
Dal punto di vista vocale abbiamo ascoltato l’orchestra della Wiener Staatsoper in splendida forma e lo stesso coro dell’Opera Vinennese cantare splendidamente. La direzione di Zubin Metha era secca e incisiva, tesa a marcare opportunamente il carattere militante di quest’opera. Ferruccio Furlanetto si è dimostrato un Roger in ottima forma, con voce piena e tonante e ha riscosso un pieno e meritatissimo successo a fine serata. Buoni anche tutti gli altri numerosi interpreti fra cui ricordiamo la Hélène di Marina Mascheriakova e l’Adhémar de Monteil di Alexandru Moisiuc. Successo caloroso per questa iniziativa di scambio culturale fra teatri che sarebbe opportuno ripetere più spesso.
R. Malesci
(12 Settembre 2001)