Recensioni - Cultura e musica

Teatro Regio di Torino: Mefistofele, l’elogio dell’attimo fuggente teatrale

Il Teatro Regio di Torino a riproposto dopo parecchi anni il Mefistofele di Arrigo Boito scegliendo per questo di riallestire un m...

Il Teatro Regio di Torino a riproposto dopo parecchi anni il Mefistofele di Arrigo Boito scegliendo per questo di riallestire un memorabile spettacolo di Robert Carsen già presentato una decina di anni fa a Ginevra indi a San Francisco, a Chicago e al Metropolitan di New York.

Opera di difficile interpretazione scenica il Mefistofele, sia per i numerosissimi quadri e ambienti in cui si svolge, sia per l’estrema facilità a cadere nel ridicolo o nel pacchiano dovendo spesso mettere in scena angioletti, sabba classici e sabba romantici. Geniale la soluzione adottata dal regista canadese che ascrive l’opera in un gioco teatrale, dove il diavolo tentatore altro non diventa se non una specie di gaglioffo impresario/direttore teatrale che ammansisce a Faust tutta una serie di sogni onirico/teatrali che si svolgono appunto all’interno del suo teatro che il pubblico vede messo in scena specularmente.

I cori degli angeli iniziali sono perciò il consesso del pubblico che giudica e che in qualche modo ha la capacità di donare a Mefistofele e Faust, ma per iperbole simbolica a tutti gli uomini, il plauso, l’approvazione per il lavoro svolto e pertanto per estensione protestante la salvezza dovuta al lavoro che è l’ultima istanza della seconda parte della tragedia goethiana a cui Arrigo Boito si è fieramente ispirato.

Il tutto è condotto con estrema lucidità in questa linea interpretativa dove le avventure di Faust altro non sono che spettacoli a cui lui assiste o partecipa, ma sempre in qualche modo dal di fuori, con la consapevolezza di essere qualcosa di altro, potendosi così permettere di esserene coinvolto in maniera relativa. In questo senso si risolve anche magistralmente la parte dedicata a Margherita, direttamente tratta dal Faust I, e da Boito notevolmente ridotta per dare spazio anche alla seconda parte della tragedia. Nel percorso di ricerca Mefistofele accompagna Faust a sperimentare l’amore puro verso Margherita, l’indiavolata notte del sabba risolta da Carsen come un’orgia all’interno di una festa carnascialesca e a sperimentare l’amore ideale per Elena di Troia, quando, nel sabba classico, Faust viene fatto partecipare ad una rappresentazione di gusto neoclassico, mentre Mefistofele si gode lo spettacolo sorseggiando champagne da una palco di proscenio.

Il finale con la morte di Faust si ambienta opportunamente in camerino, come a simboleggiare che tutti gli spettacoli sono stati visti oppure messi in scena e che oltre la macchina teatrale è necessario trovare una condizione e una consapevolezza che vadano oltre la pura apparenza, la musica ridondante e la frenesia delle feste sabbatiche. Faust ritrova questo ideale nel lavoro, nell’operosità, ed ecco che allora il Teatro acquista per lui nuova vita, si riempie di nuovo di cori angelici che lo portano in trionfo per l’ultimo viaggio verso la felicità dell’attimo fuggente che forse solo il teatro, la macchina dei sogni, può realmente concedere.

La lettura di Carsen, unita a splendide scene e azzeccati costumi, ha dunque regalato al pubblico del Regio di Torino uno spettacolo memorabile anche grazie agli interpreti tutti validissimi e sapientemente diretti da Bruno Bartoletti a capo dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio. Su tutti spiccava il Mefistofele sardonico e sfrontato di Roberto Scandiuzzi, dotato di una voce torrenziale e di un’interpretazione pienamente in linea con l’impostazione registica. Ottimo anche il Faust di Antonello Palombi che ha cantato senza mai forzare e sempre puntando sull’interpretazione. Voce molto omogenea per il soprano Adina Nitescu, interprete di Margherita, che ha ottimamente interpretato la sua aria “L’altra notte in fondo al mar”. Corretta e molto in parte anche la Elena di Rossella Ragatzu.

R. Malesci
21/04/02