Recensioni - Cultura e musica

Teatro alla Scala: La luminosa rivelazione di Dio per il Sansone di De Ana

Dopo una chiusura forzata di circa due settimane prosegue al nuovo Teatro degli Arcimboldi la programmazione della Fondazione Teat...

Dopo una chiusura forzata di circa due settimane prosegue al nuovo Teatro degli Arcimboldi la programmazione della Fondazione Teatro alla Scala di Milano con il “Sansone e Dalila” di Camille Saint-Saens, per la regia di Hugo De Ana.

Sansone è una partitura espressionista e “pompier”, splendida ma anche zeppa di esotismi e di ballabili che oggi giorno potrebbero risultare stucchevoli se risolti in maniera convenzionale. Certamente un’altra strada rispetto alla convenzionalità ha intrapreso il regista argentino Hugo de Ana che, come suo solito, curava anche scene e costumi dell’allestimento importato alla Scala, causa indisponibilità del preannunciato Luca Ronconi, dal teatro Carlo Felice di Genova.

De Ana inventa un paesaggio biblico iscritto in una scena metallica completamente obliqua, un palazzo di grate di ferro cromato che sembra già dall’inizio instabile, minato alle fondamenta e in procinto di cadere. Davanti ad esso si dibatte il popolo ebreo oppresso che sembra uscire dalle fogne delle nostre moderne città, assimilato ad un popolo di disperati costretti a vivere con gli scarti della società ricca e opulenta, tanto che in scena appaiono realmente dei rottami e parti di carcasse di automobili. I Filistei per contro possiedono invece la luce e la tecnologia, con pochi sfavillanti soldati controllano la massa sudicia e disperata degli Ebrei. Solo Sansone riesce a smuovere questi disperati, a dare loro una speranza, ma anch’egli infine resta avvinto dalle grazie sofisticate di una Dalila che prima lo ghermisce con le armi della seduzione e poi lo getta in pasto ai suoi armigeri robotizzati.

La lettura di De Ana è simbolica, interessante ma soprattutto innovativa, tanto che lo spettacolo è un vero gioiello visivo che oltretutto non ostacola mai la musica. Il peccato veniale di una direzione dei cantanti forse un tantino convenzionale, soprattutto nel secondo atto che si risolve con due lunghi duetti, può tranquillamente essere perdonato. Il meglio però De Ana ce lo riserva nel terzo atto, complici anche le splendide e originalissime coreografie di Leda Lojodice. Il regista argentino elimina ogni riferimento testuale al libretto, perciò niente ruota a cui è incatenato Sansone e nemmeno il tempio che rovina sui filistei. Tutto è risolto con un gioco accurato fra regia e parti coreografate, dove l’orgia dei filistei è finalmente davvero tale in una baccanale carnascialesco che pare affidato a marionette elettroniche cariche però sempre di trasgressiva sensualità. Un sfavillio di neon turchese incorniciano le gabbie cromate e il trionfo dei Filistei sembra grandioso e annichilente fino a quando Sansone non atterra i falsi idoli con il trionfo della vera luce, improvvisa e accecante rivelazione di un Dio che liquefa ogni eresia nella lattiginosa luminescenza che già dal primo atto covava sotto i gabbie-palazzi facendoli crescere storti, già inclinati verso la caduta che non deve risultare reale per essere tanto più rovinosa e pregnante. Sansone infatti si toglie la benda che nascondeva i suoi occhi accecati e, sembra quasi dire De Ana, vede la vera luce, acquisisce la conoscenza che sbaraglia ogni altra luce, che atterrà i nemici lasciando intatti i loro manufatti.

Pochi registi come De Ana sanno mettere tanto nei loro spettacoli, pochi sanno dare letture così coinvolgenti, estetiche e allo stesso tempo “sconvolgenti”. Ritengo che solo fra diversi anni tutti saranno concordi nel ringraziarlo di aver tolto dal Teatro d’Opera le colonne assiro/babilonesi e le macine a cui probabilmente si sono mentalmente incatenati i soliti tradizionalisti che, come del resto avviene ad ogni prima della scala, non hanno mancato di contestare questo spettacolo.

Un allestimento di tale ricchezza e suggestione era giustamente coadiuvato da un cast d’eccezione su cui spiccava la Dalila di Olga Borodina, dalle venature vocali raffinate e dagli slanci sensuali potenti e precisi. Ottima anche la prova di Placido Domingo che sosteneva la sua centesima replica di Sansone. Domingo è un cantante di razza e un grande attore, anche se in questa occasione ci è parso affaticato. Discreta la prova di Jean-Philippe Lafont che interpretava il Gran Sacerdote di Dagone, mentre Bonaldo Giaiotti era un vecchio ebreo ieratico e corretto. Ottima l’orchestra e il coro scaligero che, diretti da Gary Bestini, hanno saputo cesellare, anche in una sala immensa come quella degli Arcimboldi, tutte le finezze e le sonorità espressioniste di Saint-Saens. Una menzione particolare al corpo di ballo e alle splendide coreografie, ma sarebbe meglio chiamarle creazioni danzanti, di Leda Lojodice.

R. Malesci
(17 Febbraio 2002)