Ljadov, Stravinskij e Čajkovskij nel concerto inaugurale del Settembre dell’Accademia
Yuri Temirkanov è un direttore dallo stile molto personale: le sue interpretazioni sono quasi sempre caratterizzate da una grande originalità che le differenzia da quanto la tradizione ci ha sovente abituato ad ascoltare. Questa caratteristica si accentua ancora di più quando si trova ad affrontare pagine del “suo” repertorio russo, delle quali attualmente è, se non il massimo, certamente il più originale interprete vivente.
Come è già accaduto in più di un’occasione l’Accademia Filarmonica ha scelto di inaugurare questa nuova edizione del Settembre dell’Accademia (considerando la parentesi estiva Berliner come un fuori programma) con il Maestro alla testa della sua Filarmonica di San Pietroburgo.
Il programma, che si apriva con una pagina poco conosciuta di Ljadov, metteva in seguito a confronto due monumenti del balletto russo, ovvero Petruška di Stravinskij e il secondo atto dello Schaccianoci di Čajkovskij.
Inutile sottolineare che si è trattato di un concerto di rara bellezza in cui la formazione pietroburghese ha dato come sempre sfoggio della sua ineccepibile tecnica e del suo straordinario colore, che trova nei legni la sua maggiore particolarità. Se infatti tutte le sezioni andrebbero lodate singolarmente per la qualità del suono, fatta eccezione per qualche trascurabile défaillance nelle trombe, è nell’impasto sonoro di clarinetti, fagotti, flauti, oboe che a mio avviso si racchiude il segreto che rende così unico il colore di questa orchestra.
Chiaro che quindi con un simile organico a sua disposizione Temirkanov, complice anche la frequentazione più che trentennale con la Filarmonica, abbia potuto addentrarsi fin nei minimi dettagli delle singole partiture.
Kikimora di Ljadov è uno schizzo sinfonico breve ma accattivante, che si basa su una melodia tipicamente russa che l’orchestra ha esaltato un un’esecuzione smagliante ed impeccabile.
Discorso analogo per il successivo Petruška, del quale Temirkanov ha dato una lettura originale, esaltandone la componente folkloristica russa a scapito delle sue caratteristiche più novecentesche.
L’orchestra si è profusa in un tripudio di colori, complice l’allegria delle percussioni, che hanno ricondotto il dramma della marionetta ad una dimensione più favolistica, se vogliamo anche rassicurante. Il Petruška che abbiamo ascoltato era molto più vicino alla Russia del Gruppo dei cinque ed al successivo Schiaccianoci che non alle tensioni ed alle angosce che seguiranno quel 1911, data nella quale il balletto vide il suo debutto. La stessa scelta del finale in fortissimo della versione 1943 è servita a sottolineare ulteriormente questa scelta.
Non così inusuale nell’interpretazione ma altrettanto trascinante nell’esecuzione è stato il secondo atto dello Schiaccianoci che ha costituito la seconda parte della serata.
Sonorità ricche, piene, sontuose, scavo nel dettaglio e fraseggio sempre al servizio della narrazione sono state le caratteristiche di un ascolto memorabile. Uniche fonti di perplessità due tagli operati rispettivamente nella danza dei flauti e nel finale della Fata confetto. Scelte queste che ci hanno lasciati un po’ rammaricati sia perché l’esecuzione delle due flautiste fino ad allora era stata magistrale, sia perché, nonostante la presenza della celesta sul palcoscenico, siamo stati privati di una delle pagine più caratteristiche dello spartito.
Questo non ha comunque impedito che al termine del concerto il Teatro Filarmonico ricambiasse gli esecutori con meritate ovazioni premiate con due preziosi bis.
Davide Cornacchione 8/9/2014