Recensioni - Cultura e musica

Tony Manero

Durissimo film sulla violenza causata dall’alienazione e dallo svuotamento morale di una società sotto il controllo della dittatura.

Un film di Pablo Larrain.
Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete
Drammatico, durata 98 min. - Cile, Brasile 2008.

Bisogna prepararsi psicologicamente per questo film, la cui visione è sicuramente difficile e persino sgradevole in alcune scene.
Eppure è un grande film, secondo il mio parere, anche per questo suo coraggio visivo, che rende onore al regista ed agli attori. Superpremiato al Torino Film Festival, suscita reazioni contrastanti nel pubblico.
Siamo a Santiago del Cile nel 1979, in pieno regime Pinochet, dittatore che ha “gli occhi azzurri”, come dice un’anziana signora mentre lo guarda alla tv…accanto a lei c’è l’emulo di Tony Manero, il ballerino de “La febbre del sabato sera”, Raùl Peralta, che non esiterà poco dopo a sbarazzarsi di lei solo per entrare in possesso della televisione. Che serve  per anestetizzarsi cuore e cervello, allora come oggi.
Raùl è impersonato da un eccezionale Alfredo Castro, che riassume nella sua espressione  angoscia e vuoto morale. Per non parlare delle sue sequenze di ballo, che imitano in modo quasi caricaturale quelle di John Travolta, con le giuste imperfezioni e un’assoluta, oltre che unica, convinzione esistenziale. Se il ballo può essere gioia, quello di Raùl è invece una danza macabra. Per perseguire il suo sogno non esita a compiere ogni tipo di nefandezza, passando dal ballo al delitto più efferato con totale indifferenza. Intorno a lui ed alla sua strana famiglia allargata, contagiata dalla sua maniacale e allucinata passione, famiglia in cui anche il sesso risente della disperazione e della solitudine delle persone, il respiro brutale della dittatura penetra nella quotidianità di ognuno, e  i cadaveri che si lascia dietro Raùl si sommano a quelli che fa il regime. Ma Raùl –Tony è anche l’esempio squallido e persistente della perdita di sé attraverso un’assimilazione acritica e profondamente ignorante di un’altra cultura. Il finale resta sospeso in un oblio nichilista, e ti alzi dalla poltrona con la sensazione di un pugno nello stomaco. Eppure film come questi sono, in un certo senso, necessari. Certo è che, così come dopo “Gomorra” di Matteo Garrone, dopo si ha bisogno di rivedere Mary Poppins o  “Susanna” con Cary Grant e Katharine Hepburn.
Viva il sogno. 

Elena Bettinetti