Recensioni - Cultura e musica

Tosca da “vedere” in Arena

Il capolavoro di Puccini in un’edizione riuscita visivamente ma non altrettanto musicalmente.

Quinto titolo a debuttare nella stagione areniana 2009 è stata Tosca di Giacomo Puccini nella sfarzosa produzione curata da Hugo de Ana.
Nonostante sia la terza volta che viene proposto negli ultimi quattro anni, bisogna riconoscere che si tratta di uno spettacolo molto bello, a mio avviso uno dei migliori degli ultimi anni, che si rivede sempre molto volentieri. Il regista argentino, che come di consueto riveste anche i ruoli di scenografo, costumista e lighting designer, ha creato un allestimento di forte impatto visivo a scena pressoché fissa, in cui la figura dell’angelo di Castel Sant’Angelo domina  tutti e tre gli atti, senza però mai risultare presenza ingombrante.

Intorno a questa struttura, cui si aggiungono, a seconda delle scene, alcuni elementi che consentono di identificare i vari ambienti, si muovono i protagonisti all’interno di costumi eleganti ed estremamente curati nei dettagli.
Tosca è forse il titolo che più di tutti all’interno della storia del melodramma rispetta l’unità di tempo e di luogo aristoteliche: la vicenda si svolge infatti un giorno preciso (17 giugno 1800) a Roma in luoghi reali e ben definiti, pertanto interpretazioni troppo libere o eventuali trasposizioni in altre epoche risultano più difficoltose. De Ana opta quindi per una lettura tradizionale, attenendosi ad un’iconografia ottocentesca che riesce  ad adattare perfettamente agli spazi areniani. Questa Tosca infatti non è solo cartolina illustrata che appaga l’occhio, ma può vantare soluzioni intriganti e di grande efficacia teatrale, quali l’ingresso di Scarpia in chiesa, il finale con Tosca che sale in cima all’angelo, l’inizio del terzo atto con il pastorello, che stavolta diventa pescatore e, soprattutto lo straordinario Te Deum che chiude il primo atto. Soluzioni che forse in un teatro al chiuso risulterebbero un po’ eccessive, ma che in uno spazio come quello dell’anfiteatro veronese funzionano indiscutibilmente.
Purtroppo a tale appagamento visivo non ha fatto riscontro una pari riuscita musicale della serata. Oksana Dyka, pur mostrando un interessante strumento vocale non riesce a creare una Tosca del tutto convincente.  L’emissione è spesso improntata su un generico mezzo-forte che se da una parte
le consente di riempire l’ampia platea, dall’altra tende a ridurre le possibilità di approfondimento del personaggio che alla fine risulta discontinuo. Discorso analogo per il Cavaradossi di Marcello Giordani: voce sicura e spavalda, puntuale nell’acuto, ma non sempre attenta al fraseggio ed alle sfumature che, anche in uno spazio come l’Arena, si possono apprezzare.
Ruggero Raimondi riconferma lo Scarpia che tante volte abbiamo avuto modo di applaudire: la linea di canto non è più quella di un tempo, però il personaggio è definito a tutto tondo e nel secondo atto riconferma le sue grandi doti di mattatore.
Buone le prove di Alessandro Spina (Angelotti), Roberto Abbondanza (sagrestano), Carlo Bosi (Spoletta), Paolo Orecchia (Sciarrone), Angelo Nardinocchi (Carceriere) e Andrea Faustini (pastorello).
Grandi perplessità le ha suscitate inoltre la direzione di Pier Giorgio Morandi. Il direttore ha infatti realizzato un concertazione priva di nerbo e tensione, all’interno della quale i vari momenti si succedevano come giustapposti l’uno all’altro e senza una vera e propria concatenazione, con tempi lenti e pause eccessive che hanno penalizzato non poco la riuscita generale.
Il pubblico che riempiva solo a metà l’anfiteatro ha applaudito calorosamente al termine della rappresentazione.

Davide Cornacchione 15 agosto 2009