Recensioni - Cultura e musica

Tosca grand guignol

Violenza esplicita nell’opera pucciniana in scena al Teatro Filarmonico

Tosca a tinte forti quella che è andata in scena a Verona al Teatro Filarmonico per la stagione invernale della Fondazione Arena. Lo scenografo e costumista Giovanni Agostinucci, in questo caso autore anche della regia, ha scelto di rendere il più possibile evidente la violenza che in realtà sarebbe sottintesa nella partitura, ricorrendo ad immagini e ad una recitazione decisamente esplicite.

Lo studio di Scarpia, che prima dell’incontro con Tosca si è dilettato nella lotta greco-romana, è una sorta di camera degli orrori in cui vengono ostentate macchine di tortura, compreso l’ambiguo divanetto su cui viene gettata la cantante.
Anche le morti dei tre protagonisti vengono caratterizzate in modo molto esplicito: Scarpia resta disteso con il pugnale piantato in modo evidente nello sterno, Cavaradossi viene fucilato fuori scena per poi essere buttato contro un muro sul quale lascia una macchia di sangue, mentre Tosca, anziché gettarsi dagli spalti preferisce farsi trafiggere dalle baionette dei soldati.
Non mancano poi alcune incongruenze quali il colloquio tra Angelotti e Cavaradossi che avviene davanti ai garzoni del pittore, che poi lo denunceranno adducendo un libro di Voltaire, a riprova dei suoi atteggiamenti rivoluzionari, oppure nell’interrogatorio del secondo atto la frase “Taci o m’uccidi” che Cavaradossi, anziché sussurrare a Tosca è costretto ad urlare, trovandosi lei dall’altra parte del palcoscenico.
Dal punto di vista visivo Agostinucci opta per un allestimento sostanzialmente classico nel quale gli ambienti vengono resi tramite alcuni elementi architettonici sempre immersi in atmosfere cupe. Convince poco la scelta di lasciare la chiesa di Sant’Andrea della Valle ricoperta di teli fino all’ ingresso di Scarpia,  mentre esteticamente discutibile appare il quadro surrealista della maddalena che continua a salire e scendere ogni volta che viene evocato.

Luci ed ombre caratterizzano anche l’aspetto musicale. Lilla Lee ha una discreta voce di soprano drammatico, centri solidi e disinvolta negli acuti, anche se un po’ aperti. Dal punto di vista interpretativo però una Tosca abbastanza bidimensionale, povera di sfumature, nel complessivamente generica.
Mikheil Sheshaberidze è un Cavaradossi dalla voce opaca, non sempre rifinito nel fraseggio e spesso affaticato nell’acuto, mentre Boris Statsenko è uno Scarpia dai tratti demoniaci, dotato di un timbro robusto e sostanzialmente ben calato nel suo ruolo sadico.
Mikheil Kiria è un ottimo sacrestano, dotato di voce ben timbrata e sempre sobrio nella caratterizzazione. Adeguati gli altri membri del cast: Gianluca Lentini (Angelotti), Antonello Ceron (Spoletta), Andrea Cortese (Sciarrone), Daniele Cusari (Carceriere), Stella Capelli (Pastorello).
Antonio Fogliani, alla testa dell’orchestra e del coro della Fondazione Arena, dirige con mano sicura, optando per sonorità piene e turgide, che a volte coprono le voci ma che nel complesso contribuiscono ad una lettura coerente ed efficace.
Al termine applausi convinti da parte di un teatro quasi completamente pieno.

Davide Cornacchione 30/03/2017