Venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 luglio tre serate per poter assaggiare un pezzetto di Africa. Questo è lo spettacolo Adjaya. P...
Venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 luglio tre serate per poter assaggiare un pezzetto di Africa. Questo è lo spettacolo Adjaya. Più di un’ora di spettacolo senza interruzione per quattro ballerini e cinque ballerine, di cui una cantante, che ci fanno vivere la festa e la sacralità della danza africana. Vi sono momenti dove è evidente la presenza di passi di danza jazz e moderna, come è evidente segno di voler fondere due culture affiancare a strumenti a percussione e a corda tipici africani, un sassofono. Ma la potenza e il coinvolgimento della danza africana è tale da non lasciare molto spazio.
I suoni dei Gloé, dei Djembé, del Doundou e degli altri strumenti la fanno da padrone trascinando i ballerini in frenetici movimenti che sembrano nascere dalle viscere del corpo di ognuno di loro rendendoli preda di un sortilegio, una fusione totale fra corpo e musica. E’ difficile non seguire il ritmo quasi ossessivo delle percussioni, non alzarsi dalla sedia e dirigersi verso il palcoscenico per unirsi a questo viaggio lungo la tradizione africana.
Quando i ritmi si placano e le ballate raccontano di eroi cacciatori che hanno salvato dalla fame i propri villaggi, la cornice romana del teatro sparisce, per lasciare posto ad un paesaggio assolato e sabbioso dove si possono fare incontri particolari, magari anche qualche animale guardingo e elastico nei movimenti; oppure incontrare un villaggio intero che torna dal lavoro nei campi e al calar della sera è pronto a ringraziare per quanto ha ricevuto con una danza di festa dove donne e uomini danno il meglio.
Secondo Georges Momboye la danza ha prodotto la musica e la musica guida la danza.
A dimostrazione di ciò ecco un quadro dove gli strumenti tacciono e sono i corpi dei ballerini a parlare e a suonare fino a quando gli strumenti non possono fare a meno di unirsi a questa festa.
Il corpo di un ballerino può raccontare mille storie, può trasformarsi in mille forme di vita, ma può anche diventare la semplice immagine della parola “ritmo” o “musica”, in questo caso non è più una forma definita, ma una fusione assoluta con la musica, quasi ossessiva, che ne sottolinea i movimenti o sono questi ultimi a sottolineare la musica…..
Uno spettacolo caldo, travolgente e coinvolgente quando nel finale il tentativo di far cantare la platea c’è stato, ma ad essere onesti, un pubblico probabilmente poco abituato a questo non ha saputo rispondere appieno all’invito. Unica piccolissima nota stonata di una serata “in terra d’Africa”.
Valeria Bisoni 29 luglio 2005